T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Da Chieti, dove per il momento ero rimasto solo, riaccendevo le relazioni con i parenti dell'Aquila, che spesso visitavo. Ero tornato all'Aquila, da dove ero partito bambino, con titoli che onoravano la memoria della fiera nonna e degli altri cari scomparsi. Avevo rivisto i luoghi del nostro passaggio, la scuola di S. Antonio da me frequentata, Vitoio con il suo fiume verde ed il suo laghetto, con commosso senso religioso. Non andai per allora a Tempera quasi temessi di rompere l'incanto che l'avvolgeva. La rividi, però, da un poggio non lontano. Rividi, in una tenue luce, la chiesa, le case, i dolci colli, il Vera sulle rive fresche del quale era stato seduto con la piccola Candida.
     All'Aquila condussi pure, più tardi, la compagna buona, accolta con festosa simpatia dalla aristocratica parentela. Quelle visite erano ricambiate a Silvi, specialmente dalla famiglia Rizzacasa, che vi si recava, per la stagione balneare, con una corona di floridi bambini.



     Nel febbraio del 1923, dopo la buona zia Ambrosina, moriva lo zio Aldobrando, figlio ultimo di Giuseppe di Narro e di Doralice Strina, sorella del patriota ingegnere Isidoro. La zia Maria Cristina era già morta nel convento delle recluse di Firenze.
     Non aveva avuto questo zio, per le tante peripezie, una coltura adeguata al ceto cui apparteneva, ma aveva posseduto quelle altre qualità di rettitudine, di intelligenza, di sana operosità da renderlo stimato ed amato. Apparentemente burbero, ma buono nel fondo e generoso. Aveva saputo conservare, come una missione, senza macchie, quel posto, sul quale i nipoti dovevano sviluppare la loro ricostruzione.


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Umberto