T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Per tali ragioni, quando stavo per essere promosso al grado superiore, in un momento di smarrimento, mi congedavo, per tornare a riscaldare, con il mio affetto, la solitudine dell'addolorata madre.
     Nel congedarmi m'ero proposto di tentare, per la riscossa, altra via, più facile e spedita. Ma dopo qualche mese di affannose ricerche, dovevo tornare sulla via, segnata, forse, per me dal fato.
     Ero tornato ancora una volta a Teramo, dove lo zio Aldobrando, dopo la partenza del fratello Vincenzo, era rimasto solo. Ma la sua porta per me era rimasta ancora una volta chiusa.
     Gli eventi, quindi, e favorevoli e sfavorevoli, dovevano avere il loro inesorabile corso.
     Non potendo risolvere il problema in altro modo, ripugnando a me di trasferirmi all'estero, domandavo la riammissione nel Corpo, dal quale m'ero congedato.



     Un viaggio da raccontare quello fatto da Salerno a Como, per raggiungere la nuova residenza, anche per mettere meglio in evidenza, di quanti contrasti è formata la povera, volubile vita.
     Ebbi a fare una sosta d'un mese a Cava dei Tirreni, bella ed ospitale cittadina. Avevo avuto una lettera per una famiglia di molto riguardo, alla quale mi presentai, per la consegna, una domenica mattina. Il signore, come mi diceva la domestica, che m'apriva, non era in casa, né in città, ma potevo entrare, essendovi la signora sua moglie. La signora, dalla quale ero subito colpito per la fresca e profumata avvenenza, mi raggiungeva, poco dopo, nel salotto, ove ero stato fatto entrare.
     Anche lei, nel guardarmi con due luminosi mesti occhi, ebbe un moto di sorpresa. Non le dovevo sembrare molto nuovo. M'aveva forse visto, nei suoi sogni di fanciulla. Nessuna idea, se non più che corretta, mi balenava alla mente, anche se fortemente turbato da quella esuberante bruna bellezza. Quando stavo per andarmene m'invitava a sedere, e sedeva essa stessa, di fronte, non molto lontano. Poiché il marito, insieme ad un di lei fratello avvocato, era partito per Napoli, e non sarebbe tornato che la sera, iniziava con me una conversazione un po' confusa. Ad un certo momento, uscito l'unico bambino a spasso con la domestica, in casa restammo soli. Per quanto conservassi ancora molta ingenuità, pure quel fatto mi preoccupava. Ogni qualvolta tentavo di andarmene, ero pregato di rimanere, di parlare, di ascoltare. Le poesie del Petrarca, ch'erano sul tavolinetto, ci conduceva a discutere sul cantore d'uno dei più forti e dei più santi sentimenti, che possa scuotere cuore umano. Ne ricordavamo, commossi, i silenzi di Valchiusa, le fresche chiare acque, gli alberi, la pioggia di fiori, i palpiti, i lamenti, le esaltazioni, e parlavamo della divinità dell'amore.


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Umberto