T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Il giorno venti, nel mentre il bombardamento assumeva una spaventosa grandiosità, ricevevo ordine di raggiungere le truppe del colonnello Rossi Luigi, del 162., impegnate a morte a quota 1528 del Costesin. L'impresa si presentava ardua, ma quella Sezione, come dalla fatalità sospinta, non tentennava. Altri mitraglieri bagnavano con il sangue la sconvolta via, ma quando i proiettori illuminavano la notte tragica le armi fatate della Guardia fedele, cantando il terribile canto, falciavano sul Costesin le ubriache orde assalitrici.
     Poi ogni cosa ricadeva nella tregua agitata. Tutto in apparenza posava e taceva, ma nelle ombre due razze palpitavano, due popoli vegliavano di fronte, con il loro secolare odio.
     Con il nuovo giorno nuova tempesta di proiettili colpiva la difesa. Si sparava sulle deboli trincee e nelle retrovie financo con i 420. I soldati, tra i quali scoppiavano, erano maciullati, lanciati in aria a brandelli. Le gambe, le braccia, le teste nel ricadere s'impigliavano nei rami degli alberi, ove rimanevano penzoloni.

     Talvolta si vedevano roteare nell'aria corpi interi, che nel ridiscendere si schiacciavano orrendamente al suolo.
     Spettacolo macabro, da bolgia infernale, mai forse visto da occhi viventi.
     Si rimaneva dinanzi ad esso come istupiditi, in attesa del fatale colpo, che ci doveva condurre via.
     Anche se il proiettile non giungeva, ricadevano su di noi, con i brandelli di carne, che ci insanguinavano, terriccio, sassi, schegge di ogni grandezza, che ci producevano contusioni e ferite anche gravi e mortali.


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Umberto