T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Quanta pietà, quanta gratitudine, quanto amore mi avrebbero dimostrato i miei generosi concittadini!
     Povero ingenuo fanciullone! Nonostante le dure traversie, gli amari disinganni, le amarissime esperienze non avevo ancora capito, non avevo ancora penetrato gli oscuri meandri del torbido umano animo.
     Il giorno della così detta liberazione, che trovava integra la città, giungeva; ma giungevano pure, dopo le promesse, i perfidi rinnegamenti. Tranne rare nobili eccezioni, nessuno più ricordava la mia persona e la mia opera. Per carità del luogo natio è meglio non parlarne. Non posso però non rammentare che mentre i banditi occupavano impunemente la mia casa, io non riuscivo, una volta in strada, a trovare un qualsiasi rifugio. Tutti mi negavano, anche una sola stanza, inesorabilmente. Il buon fratello Federico mi aveva offerto ospitalità, ma essendo la sua casa piccola, grave era il disagio per tutti. Gli altri parenti, rientrati dallo sfollamento, nulla erano disposti a dare. Chi poteva concedere qualche cosa, con un egoismo imperdonabile, duro aveva il cuore. Passammo il Natale, come su le Alpi, in un soffitto, sotto un tetto coperto di neve. Da lassù udivamo sotto, nel fervore della festa, nello sfolgorio delle luci, nelle sale bene riscaldate, nelle tavole bene imbandite, il chiasso del godimento. Udivamo sotto far festa, mentre noi guardavamo, nel freddo, il caminetto senza fuoco; nella fame, la tavola senza pane.

     La benevolenza altrui cade, ed è sacrosanto assioma, con il cadere della fortuna.


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Umberto