T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Durante il tempo trascorso alle armi, scrupoloso osservatore delle leggi, non mi ero interessato di partiti. Quando tornavo alla vita civile, padrone di me e delle mie azioni, sceglievo nell'ordine politico la mia via, e sceglievo il fascismo. Sceglievo il fascismo perché il fascismo, nello spirito di Roma e nella luce di Vittorio Veneto, aveva osato coraggiosamente di elevare la sua sdegnosa protesta contro coloro che, in un perfido egoismo, mettevano l'Italia in un ingiusto stato di umiliante inferiorità.
     Sceglievo il fascismo, e con ciò non intendo farne l'apologia ma riconoscere soltanto una verità, perché il fascismo era sorto e insorto, generosamente, contro la livida marea, come quella di Genova, che saliva a travolgere, nella sua abiezione, i prodi tornati dagli insanguinati campi di battaglia, carichi di cicatrici, di mutilazioni, di gloria.

     Non potevo, quindi, dinanzi al suo crollo non restare pensoso. Prima di fascista però ero italiano. Quando i tedeschi, per effetto dell'armistizio, concordato dal nuovo governo, presieduto dall'ambiguo Pietro Badoglio, occupavano la città non più da amici, assecondando ancora il generale desiderio, rimanevo a quel posto divenuto, con i nuovi eventi, colmo di gravi pericoli.
     I tedeschi giungevano a Teramo feroci, non soltanto per l'armistizio, ma anche per le bande che vi si erano costituite e rifugiate sulla montagna.
     Non ripeterò qui le vicende di quel periodo molto nero, essendo state esse narrate, nei particolari, nel mio libro "Nel turbinio d'una tempesta".


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Umberto