T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Serbava ancora la città le tracce del terremoto, dal quale qualche anno prima era stata sconvolta nelle case, nelle strade, negli abitanti. Pur nelle macerie offriva sempre, nella perpetua primavera, la bellezza del suo mare, delle sue colline, dei suoi aranceti. Taorimina, lembo di cielo caduto in terra, cullata dal canto melodioso del mare, dai meravigliosi azzurri riflessi, che avvolgevano come una carezza la spiaggia, i poggi, le case, le persone, i pensieri. Meravigliosa pure per quel vasto teatro dalla fattura eterna, in cui si facevano rivivere, con le antiche opere e nelle forti passioni, i popoli grandi di Grecia e di Roma. Vi si faceva rivivere con l'immensa anima latina, con i sogni di dominio, il divino Cesare.
     Proprio in quella città dell'infuocata Trinacria, avendo ormai assicurato la promozione agli alti gradi, ancora giovane d'età e colmo di speranze, chiesi ed ottenni il passaggio dal servizio attivo a quello ausiliario. Il fatto in sé semplice gettava ovunque, specialmente nel Corpo, sorpresa e rammarico.

     Il piccolo di Rocciano, il ragazzo di Maddaloni, il bimbo di Oria aveva compiuto atti in pace e in guerra, che non sarebbero stati forse mai dimenticati nel tempo. Uno degli episodi di guerra, quello del Costesin, ad esempio, era stato riprodotto, per le future generazioni, in un grande quadro, conservato a Roma nel museo storico della Guardia di Finanza.
     Nel lasciare il Corpo nel quale ero vissuto negli anni più belli e vi avevo sognato i sogni più lieti, molte lettere ricevevo di simpatia, di rammarico, di ammirazione. Il comandante tra l'altro mi scriveva:


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Umberto