T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Noi stessi c'inginocchiammo su quel cocuzzolo di sangue, dinanzi al giovane cadetto, che appariva pił bello nella sua eroica morte. Cadetto al quale avrei voluto restituire la vita, quando lessi in una cartolina, scritta dalla mamma lontana, parole di tenera affettuosa speranza e d'amore.
     Le autoritą militari, a riconoscimento della nostra condotta, fregiavano sul campo di battaglia, me e i miei, caduti e superstiti, del nastro azzurro dei prodi.


     Ma la guerra non finiva al Costesin. Dopo altri episodi, pił o meno cruenti, nell'estate del successivo anno, mi trovavo, con il mio battaglione, nelle operazioni per la conquista della Bainsizza. Si poteva far crollare allora, se vi fossero state migliore preparazione e maggiore collaborazione tra le nostre armate, tutto il fronte dell'Isonzo, con la conseguente occupazione di Trieste.

     Ci arrestammo, invece, dopo il magnifico sbalzo in avanti, quasi timorosi, alle spalle del nemico, dinanzi alla foresta di Chiapovano.
     Le nostre condizioni non erano liete. Gli austriaci, se si riorganizzavano, potevano, da un momento all'altro, ricacciarci gił, o farci prigionieri, a loro piacimento. Non vi era poi acqua; gravi vi erano i disagi, in un terreno infetto. Molti gli ammalati. Io stesso un giorno dovetti essere ricoverato d'urgenza in un ospedaletto da campo, con febbre altissima.
     In una di quelle notti, mentre deliravo su un giaciglio insanguinato, era ivi condotto un giovanissimo sottotenente, mortalmente ferito all'addome. Conservava, tra gli spasimi, piena luciditą di mente. Strappava molte lettere, che dovevano contenere segreti, forse d'amore: lettere che prendeva da una cassettina, che s'era fatta portare dall'attendente. Dava pacate istruzioni, allo stesso attendente, su quanto doveva fare, dopo la sua morte.


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Umberto