T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Tutti ci salvammo allora; ma il maggiore lasciava successivamente la vita in un'altra simile impresa.
     Biasimo o lode? Il valore, comunque manifestato, va sempre rispettato ed ammirato. Insegna, se non altro, a sapere eroicamente morire.
     Gli eroi rinfrancano i deboli e segnano, sulla via dell'affaticata vacillante umanità, i punti luminosi che avvicinano alla divinità.


     Di quel giorno serbo un doloroso ricordo. Nel passare, nella nostra pazzesca marcia, in un posto avanzato, vi trovammo un aspirante diciannovenne, bel ragazzo, che vi era giunto il giorno innanzi. Ebbe un aspro rimprovero dal maggiore, poiché alle sue domande dimostrava di non essersi reso ancora conto del terreno, sul quale, con i suoi uomini, doveva vigilare, né della posizione del nemico. Pretesa che poteva avere il suo valore, ma pretesa anche esagerata, quando in quel posto non era consentito d'alzare neppure la testa.

     Noi andammo avanti, quel giovane aspirante, toccato da quel rimprovero, voleva muoversi, quando una pallottola lo colpiva nelle vicinanze del cuore.
     Quando rientrammo, trovammo quel bel ragazzo su una barella, che agonizzava. Nella notte moriva.
     Sarebbe caduto in seguito? Forse. S'era in guerra. Sentivamo, però, che la sua ombra s'aggirava crucciata attorno a noi.


     Vi era ancora tregua ai primi di maggio su quel fronte, ma non assoluta. Di giorno erano velivoli che giravano, senza sosta; di notte s'udivano rumori, si avvertiva l'ansia di un intenso lavorio.
     Nel campo italiano, al contrario, nessuna attività, nessuna preoccupazione. La linea dei forti, le posizioni quasi imprendibili, pareva che tranquillizzassero, assicurassero i nostri alti comandi.


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Umberto