T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Ma alla lirica bella, seguivano tosto i neri accenti, del doloroso dramma non ancora concluso.
     Nell'estate che giungeva, per godere un po' di campagna, essendo scrivano presso il comando superiore, andavo in una delle tranquille contrade di Castel Fiorentino.
     Nel passare sul mezzogiorno, nelle mie gite, dinanzi ad una villetta circondata di verde, vedevo ad una finestra, come in attesa, immancabilmente, una florida ragazza. Non ne chiedevo notizie, per non svegliare sospettosa curiosità; ma ero lieto quando, con un fratello, ne potevo visitare la casa.
     Vi ero accolto con molta cordialità e con un dolce mesto sorriso da parte della cara ragazza, che contava diciotto anni. I miei sentimenti non potevano superare quelli d'un puro omaggio alla giovinezza, ma le mie parole, naturalmente gentili, parevano commuovere la bella fanciulla, dagli occhi neri e profondi.

     Quando lasciavo la casa sapevo, e ciò molto mi rattristava, che quegli occhi belli, da qualche anno, erano spenti per sempre alla luce.
     Non rividi più quella infelice, poiché proprio in quel giorno un telegramma urgente mi chiamava in famiglia, dove altri occhi, non meno belli, stavano per spegnersi, non alla luce, ma alla vita: la buona, la mite, l'angelica sorella Maria Gesù, gentile fiore di aprile, moriva. Giungevo a casa appena in tempo per raccogliere l'ultimo suo mesto sorriso, l'ultimo sguardo, ancora vivo, dei suoi dolcissimi occhi. Poi la cara sorella reclinava il capo, tenuamente, nel sonno, che non ha risveglio.
     Più fortunata della cieca di Castel Fiorentino? Non so. Molti, nei diversi sentimenti e nelle diverse considerazioni, potrebbero essere i pareri. In quanto a me, l'amor fraterno m'induce a dire, che avrei voluto vedere, ancora in vita la cara sorella.


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Umberto