T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     L'aspetto delicatamente infantile mi cattivava, ripeto, le simpatie di quelle popolazioni, avverse, generalmente, alla Guardia di Finanza.
     Un mattino di neve e di tormenta mi trovavo, con un compagno, entro uno dei tanti casolari, rifugio estivo degli alpigiani. I proprietari, che vi giunsero inaspettatamente, fecero per il fatto, molto chiasso, ed anche minacce. Eravamo in una specie di violazione di domicilio, da non perdonarsi a quei soldati che davano una caccia spietata ai contrabbandieri, professione al confine un po' di tutti.
     Quando uscimmo per giustificare in qualche modo la nostra presenza in quel casolare, la donna, che accompagnava l'inferocito uomo, nel vedermi "Povero figliuolo!" Esclamava, e l'ira si mutava in affettuosa materna premura. Anche l'uomo, commosso, diceva: "Ma è vita questa da farsi fare a poveri ragazzi?"

     Il Natale di quel primo anno, poiché la vigilanza al confine non poteva essere interrotta, mi trovava con altro militare in servizio d'alta montagna. Alta vi era la neve, e neve cadeva larga, muta, solenne dal biancore opaco del cielo. Eravamo, insonni vedette delle Alpi, in una caverna, scavata nella roccia, come in un nido d'aquile, molto in alto. Non s'udiva, né vicino, né lontano, rumore d'anima viva. Svolazzava qua e là, da dirupo a dirupo, qualche corvo, che, in tanta bianchezza, appariva più sinistramente nero, e qualche aquila, signora incontrastata delle cime.
     I ricordi del passato salivano vivi, dall'anima afflitta, in quella natura desolata.


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Umberto