Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Ben altre furono le ragioni di quella infamia. Io, che mi trovavo a Teramo nella notte tragica, sfuggi per miracolo al vile agguato. Mi salvai e vidi i nostri appesi agli alberi, come bestie maledette. Vidi il nostro capo che, nella robusta maturità, mi fissava con due occhi terribili. Nel passargli vicino, pareva che mi dicesse: - Vendetta, vendetta, compagni! -
     Chiedeva vendetta, non ancora compiuta.
     Tante volte mi è tornato in sogno, accigliato, sdegnato per il nostro ritardo. Tante altre volte vedendone l'ombra nel bosco ne ho ancora riudita l'affannosa invocazione: - Vendetta, vendetta. - E vendetta sia. Continuare nella disperata vita di bandito non è più possibile, quando poderose forze governative stringono intorno a noi sempre più fitta la loro rete e le nostre famiglie languono in un lurido carcere, in attesa di deportazione.

     Il preside Torrejon ci offre, in compenso della nostra resa, restituzione delle nostre famiglie e dei nostri beni, assunzione, con i nostri gradi, nelle forze armate del vicereame. Le condizioni sono buone e noi potremmo migliorarle con certi altri nostri atti. Sangue richiama sangue. Sette furono i nostri a ghignare, lividi, alle sette porte; sette dovranno essere le teste di coloro che dovranno placare l'ira, nel sepolcro senza pace. E da ognuna di quelle teste cadrà nelle nostre tasche una pioggia di ducati d'oro.
     - Tutti i nodi arrivano al pettine - dice un antico proverbio. Non potranno questa volta non arrivare al nodo scorsoio le teste orgogliose dei padroni della montagna."


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Umberto