Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Dicono pure che negli antri, nel cuore dei dirupi che noi vediamo, vi siano palazzi, giardini, laghetti e una lussuriosa principessa orientale di grande bellezza.
     Festa è per quegli abitanti il tempo, orgia la vita.
     Molti pericoli, quindi, da questa parte. Nonostante ciò, per la chiarezza del cielo e del mare, sui promontori, attorno alle rade, in fondo ai porti sorsero ugualmente linde piccole città che hanno per nome poesia, per vita canto. E cantano in sul mattino e in sulla sera alla terra, al mare, alla vita.
     Un qualche giorno, una qualche poeta adriatico, nella pienezza del godimento, nel mistico delirio, ne canterà la divina bellezza."
     Così disse il comandante e mentre le bianche città apparivano e sparivano ne faceva il nome, ne ripeteva la storia.

     Indicava in fondo all'Istria, Pola la eroica, che serbava con i suoi archi, i suoi templi, il suo ampio anfiteatro le impronte incancellabili di Roma.
     Indicava a mano a mano della Dalmazia, nel passaggio, la leggiadra Zara, la beata Sebenico, la gentile Traù, fresche come fanciulle uscite dal mare. Tra l'una e l'altra le mille isolette, ricche anch'esse di leggende, d'api, di miele e di spirito latino.
     Indicava finalmente, meta del loro viaggio, la superba città di Diocleziano, dove i pretuziani scendevano per riprendere la vita, non più di banditi, ma di soldati della Serenissima.



     CAPITOLO UNDICESIMO

     A Spalato incontrarono uomini della banda del Montecchi, convalescenti per ferite riportate nei combattimenti della Morea. Avevano operato contro i turchi con abilità e valore. La loro bravura rifulse in modo particolare nella conquista di una altura fortemente presidiata, non molto lontano da Patrasso. Tutti gli attacchi dei veneziani erano stati respinti, col pericolo di essere ricacciati in mare. Il comandante, nella critica situazione, dava ordine ai pretuziani di avanzare.


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Umberto