Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     L'incendio era domato, ma quelli della banda, qui presenti, ne uscirono feriti, bruciacchiati, tormentati da molte scottature. Io ne conservo ancora, quasi sanguinanti, le cicatrici.
     Dopo la prova del fuoco, la prova dell'acqua.
     Su Valle Castellana, nostra abituale dimora, si scatenava, sul finire della scorsa estate, un violento temporale, con tuoni, lampi, fulmini e acqua a diluvio. Ne erano pieni i valloncelli, gonfio il fiume. Noi, che dal Tronto risalivamo il Castellano, fummo costretti a cercar riparo in un mulino. La piena, che aumentava di momento in momento, ci costrinse ad accorrere, sotto l'infuriare degli elementi, in aiuto di molte famiglie, che stavano per essere travolte dalle acque limacciose. Molte persone erano state già salvate, quando si vide dibattersi, tra i vortici furiosi, un giovanetto. Uno della banda, il più vicino, senza esitare, si lanciò in suo soccorso, quantunque gli si gridasse: no, no. Corremmo. Non vedemmo più nessuno. I vortici avevano inghiottito il giovanetto e il giovane eroe. E corremmo più volte a salvare dalla bufera e dalla valanga i malcapitati, che ne erano stati travolti."

     Mentre Giulio parlava sul viso delle donne apparivano chiari i segni della commozione e dell'ammirazione. Nulla più ora temevano da quella gente.
     "Ma non tutti operano così" mi si può osservare. "E' vero. Ma io parlo delle generose bande, delle quali è capo, vegeto e robusto, il centenario Giuseppe Colranieri."
     Mentre parlavano gli emissari tornarono e con essi, con gioia di tutti, gli arrestati. I prigionieri, quindi, comprese le donne, con parole di conforto e di auguri, furono lasciati liberi. Prima che sulla via di Campli scomparissero in una svolta, una donna di volse a salutare, con una mano, la collina.


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Umberto