Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Ciò che i predoni non potevano asportare, con l'istinto dei vandali, rompevano, distruggevano, o vendevano.
     Al saccheggio, come un castigo di Dio, non era sottratta neppure la città. A mano a mano che i Comandi se ne allontanavano, portavano con sè quanto costituiva ricchezza, patrimonio sacro della casa, che avevano occupata al loro giungere.
     Non erano soltanto i soldati a predare, ma anche gli ufficiali, deliberatamente.
     Non vi era più sosta nello sgombero. Da molti segni si arguiva che questo territorio non sarebbe stato, per fortuna, campo di battaglia. Lo dicevano, consultando le carte, anche i nostri strateghi. Ma i pericoli di una rovina non erano del tutto eliminati. I Comandi, con i quali continuavo a tenermi ansiosamente a contatto, quasi per indovinarne il pensiero, per spiarne le mosse, assicuravano, però, che Teramo non avrebbe sofferto danni se non in quelle cose, non notevoli, di carattere militare.


     Non si riusciva ad evitare, nel frattempo, altri pericolosi incidenti. Dal comando di Presidio, ove si trovava un capitano, nuovo giunto, del tipo prussiano, era stato richiesto per la custodia di cavalli, un certo numero di operai, che si sarebbero dovuti presentare, per le ore otto, alla Caserma Costantini. Ma non vi andarono nè alle otto, nè alle undici, nè, secondo successivi accordi, alle diciotto. Alle venti circa, ero appena rientrato in casa, quando un soldato vi bussava, per presentare le lagnanze del suo comando, non solo ma anche per chiedere la consegna, per i provvedimenti punitivi, del funzionario incaricato dell'adempimento dell'ordine.


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Umberto