Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     A queste innocenti vittime di operazioni senza scopo, di una ferocia senza nome, si rendevano, a spese del comune, solenni funerali. Funerali di affettuosa pietà, che avvenivano, come una sfida, con largo concorso di popolo e di autorità, mentre roteavano in alto, minacciosi, i neri apparecchi della morte.

     Questa rinnovata attività molto preoccupava, e si pensava se non fosse il caso di far sfollare in parte la città. Ma proprio in quei giorni avvenivano fatti che facevano prevedere prossimi nuovi eventi.
     L'offensiva sul fronte del Lazio, che si svolgeva favorevole agli alleati, aveva anche qui le sue ripercussioni. Svegliava, generalmente, molto brio, molta loquela, le più ottimistiche previsioni, le più rosee speranze. Non mancavano strategiche intuizioni di fortunati sbarchi, di giganteschi avvolgimenti. Lo sgombero degli Ospedali, in fretta ordinato dai Comandi tedeschi, aumentava la speranza, la certezza della non lontana così detta liberazione.

     I Tedeschi, evidentemente, per sottrarsi a più gravi disastri, se ne andavano. Chi nella notte vegliava, poteva udire fuori, nella strada movimenti, rumori non consueti di carri, autocarri, quadrupedi. Nei giorni successivi, nei primi di giugno, ai carri militari seguivano carri agricoli, vetture di ogni specie, tirati da buoi, da cavalli, da muli, da asini, di cui la nostra campagna, le nostre fattorie, tutti i nostri villaggi erano stati depredati, spogliati. Carri colmi della roba più varia: dalla biancheria ai mobili; dai viveri agli utensili caserecci e campestri, tolti spietatamente al nostro lavoro, alla santità dei nostri affetti, al sacrario dei nostri familiari ricordi.


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Umberto