Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Quelli capitati a Teramo, quali ufficiali addetti ai comandi, producevano, sulle loro qualità, una certa delusione. Di natura doppia erano evidentemente. Non ne volevano proprio sapere di quei sacrifici imposti dalla guerra, ai quali filosoficamente si adattava l'ufficiale italiano. Davano, con le loro non moderate esigenze, rendendosi coś maggiormente invisi, non poco fastidio agli uffici e alla popolazione.
     Nella ricerca delle case, occupavano, tra le migliori, non soltanto quelle disponibili per sfollamento, ma anche quelle altre, i cui proprietari erano presenti. Imponevano ad essi senza eccezioni e senza discussioni, creando situazioni penosamente difficili, lo sgombero in poche ore. Una volta dentro vi apportavano modifiche, non esclusa la sostituzione con mobili prelevati altrove, da rendere non facile la ricomposizione della casa, alla loro partenza. Per i mobili che rimanevano, s'intende.

     Normalmente, partendo, portavano con sè ogni cosa, dalla sedia al pianoforte, se vi si trovava. Del tutto inutili gli esperimenti di accurati interramenti e di bene mascherate murature. Tutto scoprivano, comunque nascosto, e tutto predavano, senza riguardi per nessuno.
     Inutili le proteste. Il comune, che ne era esso stesso vittima, con il suo intervento, anche energico, poteva attenuare, ma non eliminare i soprusi compiuti con evidente spirito di rappresaglia.
     S'illudeva non poco colui che poteva ancora credere che, con la proclamazione della repubblica sociale fascista, i Tedeschi ci considerassero ancora amici. Dopo l'armistizio, da essi qualificato perfido tradimento, e ce lo facevano capire in tutti i modi, non si poteva sperare un migliore trattamento.


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Umberto