Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Con queste considerazioni me ne allontanavo, correvo a casa, a confortare innanzi tutto la mia buona compagna, che pregava ancora per la mia liberazione; a confortare, in una vera festa, gli altri familiari, che ad essa facevano compagnia.
     E festa era anche tra i miei amici, tra essi gli Ebrei, che correvano numerosi a porgermi il loro affettuoso saluto.


     Divagazioni

     Tutto il movimento, determinato dalla gioia della liberazione, a mano a mano, si esauriva, finiva nella sua stessa stanchezza. Dopo la festa, anche se prolungata, si riteneva che si tornasse, soddisfatti, al normale lavoro.
     Una delle bande, in verità, quella di Felice Rodomonte, con l'iniziare senz'altro l'opera della ricostruzione, ne aveva dato il buon esempio. Il Comandante Armando Ammazzalorso, a sua volta, che godeva molte simpatie, aveva raccomandato, nel ritorno, manifestando nobili sentimenti, calma, ordine, disciplina, lavoro. Ma non da tutti, purtroppo, era ascoltato.


     Molti, intanto, facevano una rassegna dei danni, coś detti di guerra, ricevuti, ai quali io stesso non ero sfuggito.
     A Silvi, la casa del viale marino, rovinata dalle bombe che erano discese dall'alto, era stata spogliata dai predoni, che vi erano giunti dal basso. A Teramo, la casa del viale Crispi, occupata, nonostante la mia qualità di Podestà, dai Tedeschi, era stata frugata in ogni angolo, in ogni armadio, in ogni cassa, in ogni scatola; frugata nei documenti, nelle carte riservate, nei segreti familiari, rispettati in ogni tempo, sacri in ogni popolo.


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Umberto