Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Rendevo meno dura la vita agli internati politici, affidati, per l'amministrazione, alle mie cure. I generi alimentari messi per i medesimi a disposizione erano molto scarsi. Di conseguenza, per poter far giungere ad essi cibo, oltre che sano, anche abbondante, con mio rischio, dovevo alterare le cifre, che a quegli internati si riferivano.
     Mi recavo spesso a visitarli, per dir loro la buona parola. Erano di tutte le condizioni: dall'operaio al professionista; dal sacerdote all'ufficiale; dal cinico al mistico. Non mancavano le donne, nè i bambini, che facevo ricoverare presso la Casa della Madre e del Fanciullo.
     Il giorno di Pasqua, chiusi nelle carceri di S. Agostino, ove li visitavo, facevo somministrar loro un vitto speciale.
     Mi adoperavo anche per la loro liberazione, a molti, a mano a mano, concessa.


     Nè avevo timore dall'estendere fraterna assistenza agli Ebrei, giunti nel comune dalla Francia e da Milano. Si presentavano a me, nelle dure vicissitudini, timidamente. In ogni ariano, nell'ingiusta persecuzione, vedevano un nemico, pronto a colpirli; ma trovavano in me, per umane considerazioni, un vero protettore.
     Oltre a procurare ad essi una vita relativamente agiata, vegliavo pure sulla loro sicurezza. Allorché i Tedeschi, ed anche la nostra polizia, si mettevano alla loro ricerca per catturarli, li facevo rifugiare in campagna, presso famiglie fidate.
     Quando mi si chiedeva di fornire, con un elenco, il nome e il domicilio, non esitavo dal negare la loro presenza nel territorio del comune.


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Umberto