Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Dopo i moniti di rito si iniziava il dibattito. Vi si giudicava, tra gli altri, per favoreggiamento al nemico, il Podestà di Caramanico, avvocato Nicola Nanni. L'accusa era grave; la pena chiesta dal pubblico accusatore, pena di morte, più grave ancora. Il Nanni, nell'udirla sobbalzava, sbigottito, dal banco su cui sedeva; i presenti rivolgevano, con sgomento, lo sguardo verso di lui. La morte! Non poteva non atterrire quando giungeva a colpire d'improvviso una forte esistenza, sottraendola violentemente dalle cose terrene, dalla dolce famiglia, da tutte le promesse, da tutte le speranze, delle quali sempre si lusinga la povera vita. Non poteva non produrre, anche ad animi forti, un profondo sconvolgimento.
     Dopo il primo stordimento, il Nanni si riaveva, si ricomponeva, parlava ai giudici con una calma davvero ammirevole. I presenti continuavano le loro osservazioni sulle mosse, sulle espressioni, sulla voce di quell'uomo, che doveva già vagare con lo spirito negli oscuri limiti del regno dell'eternità. Parlava, ma non si comprendeva quale effetto producessero le sue parole sui giudici, che rimanevano rigidamente composti.

     Dopo l'arringa del difensore avvocato Moruzzi, i giudici si ritiravano. lo, approfittando della conoscenza dell'interprete, li seguivo, chiedendo, nella sala delle deliberazioni, di parlar loro.
     Tra i capi d'accusa figurava quello d'aver dato ospitalità ad ufficiali inglesi, in esercizio di spionaggio, e di averli accompagnati in una ricognizione, non lontano dal fronte. Io, che ne assumevo, in quel consiglio, la difesa, giustificavo la condotta del Nanni, non in funzione delittuosa, ma con lo spirito di gentilezza, innato nel popolo abruzzese. Popolo che apre, senza chiedere il nome, a chi bussa alla sua porta; che gli offre il pane ed il letto; che gli indica, se necessario, la via nel rimettersi in cammino.


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Umberto