Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Con la caduta del fascismo nessun miglioramento avveniva, come molti ritenevano, nella nostra situazione interna ed internazionale. Anzi, all'odio dei nemici pareva che ora si aggiungesse l'odio delle nazioni, a favore delle quali si fingeva ancora di combattere.
     Ma i nemici, nonostante la certezza del nostro non lontano crollo, non diminuivano per nulla la violenza dei loro attacchi; anzi pareva che un satanico spirito li spingesse a renderli sempre pił potenti, micidiali, distruttivi. Le incursioni aeree, quindi, aumentando di numero e di potenza, gettavano nelle nostre belle cittą, ricche di popolo, di insigni monumenti e di insuperabili opere, rovina, pianto, lutto.
     E le cittą, le case, le cose pił care, per salvare la vita, dovevano essere abbandonate.

     Agli sfollati dell'Alta Italia, gią numerosi, s'univano di conseguenza a Teramo anche quelli che giungevano, nella nuova intensificata distruzione, dalle cittą meridionali; che giungevano, appena dopo il 25 luglio, anche da Napoli, a migliaia, con treni speciali, ed offrivano, nella loro peregrinazione, uno spettacolo che dolorosamente colpiva, profondamente sconfortava.
     Erano stati essi tratti d'autoritą, dalle macerie insanguinate e fumanti, o dai sotterranei, in cui volevano, per l'amore della loro terra, continuare a vivere, senza preoccuparsi dei bombardamenti, che in quei giorni infierivano spietatamente contro la loro cittą. Trascinavano con sč, nella disgraziata odissea, con la propria miseria e con i propri pallidi denutriti bambini, i cadenti vecchi, i depressi sofferenti malati.


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Umberto