T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     E avanti avanti, nella velocitą del tempo, nella marcia senza sosta, dalla italianissima cittą di San Giusto alla cittą antica dei Marrucini, dall'infuocato Mongibello al maestoso bruno Gransasso.
     La vetta, nelle alterne vicende, quasi raggiunta, l'avverso destino, in una forza superiore, vinto, piegato alla nostra volontą. Molti laureati gią nella famiglia discendenti dal saggio di Narro, prospere condizioni economiche, chiaro nome.
     Tutti avevano la via aperta verso altre mete.
     Ma che vuoto in quella schiera festosa che per quindici giorni s'adunava, ogni sera, sulla terrazza della casa di Rocciano, mentre dai campi avvolti di ombre solenne saliva dalla valle il lamento del Tordino, che con le sue acque fluiva verso il mare. Lamento che pareva ammonisse che pure la vita, nelle ansie e nelle speranze, nella gioia e nei dolori, nelle cadute e nei trionfi, fluiva inesorabilmente verso il mare dell'eterno silenzio. Silenzio nel quale erano entrati, innanzi tempo, il nobile padre, la dolce madre e molti di quella schiera, che allietava un tempo la casa. Qualcuno, come la serafica Maria Gesł, era partito alle prime luci dell'alba; qualche altro, come la mite Maria Concetta, appena dopo il mattino, ai primi caldi raggi del godimento delle liete promesse.

     Anche voi partiste fratelli come fiaccati dalla dura lotta, innanzi tempo. Anche tu partisti giovane ancora, mio buon Federico, a me pił vicino, ultimo dei caduti, forse intatto ancora nella tomba mentre scrivo. Partisti quando la vita nuove luci aveva per te, nella serena tua bontą, nella squisita tua educazione, nelle tue nuove speranze. Partisti lasciando nel nostro animo un grande vuoto.


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Umberto