T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Qualche volta, nelle escursioni, che mi dilettavo di fare da solo, su per i dirupi e su per le cime, io stesso andavo a cercare i pericoli.
     Un giorno, sul pomeriggio, da un bosco fitto, uscivo ai margini d'un valloncello, molto profondo, chiuso, nella parte alta, da una parete, che cadeva a picco. Ne volli tentare il passaggio, fidando sulle mie alpinistiche attitudini. Non v'era sentiero, ma una lieve piega, sulla quale neppure le volpi, forse, in cerca di prede, passavano. A metà cammino, infatti, non era più possibile andare avanti; né era possibile, per mancanza di spazio, di girare, per tornare indietro. Di sopra s'ergeva la parete, a taglio diritto, senza vegetazione; di sotto s'apriva, minaccioso, il precipizio. Mi sentivo mancare, nonostante il mio spregiudicato coraggio. Mi tormentavo il pensiero di dover finire i miei giovani anni, fracassato, in fondo ad un burrone, senza rinomanza. Invocare aiuto, per una cordata, era perfettamente inutile. Non vi era nelle vicinanze anima viva. Il mio compagno, in appostamento, si trovava lontano. Sentivo, intanto, giungere la stanchezza, il fastidio, lo scoramento. Nel frattempo, per potermi meglio sostenere, fino a quando non arrivasse qualche santo a liberarmi, cercavo d'allargare, con un piede, la piega del terreno. Dopo d'aver assicurato una certa stabilità iniziavo altro lavoro, nella parete, con le mani. Togliendo terra, a forza di unghie, scoprivo una radice, ed era la mia salvezza. Con il suo aiuto mi potevo girare e riprendere, adagio adagio, il cammino, in senso inverso. Tornavo così, a piccoli passi, ai margini del bosco.


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Umberto