T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Tutto, quindi, procedeva bene, e si continuava a vivere in lieta agiatezza. La casa, dalle molte persone, era colma di beni e di benedizioni. Esisteva, si, una società, tra i fratelli, ma soltanto di carattere formale; in realtà i socie si consideravano come appartenenti ad una stessa famiglia, con una precisa missione: riconquistare, nello stato sociale, il posto perduto.
     Lo zio Aldobrando, senza farne parte, esercitava, per conto dell'azienda, una specie di commercio ambulante, per la campagna e sulla montagna. Non aveva moglie, né intendeva ammogliarsi. Giovanni, molto avveduto ed aristocratico, che aveva per compagna Annunziata De Marco, dall'alto sentire e dal cuore d'oro, non aveva figli. Non potevano sorgere tra le due famiglie quistioni d'interessi. Le due cognate, dotate delle stesse virtù, s'amavano come sorelle.

     Né il problema economico, rispetto ai lavoratori, era trascurato. Non vi era in quel tempo, a loro favore, nessuna precisa disposizione di legge, né vi erano sindacati. Ma gli Adamoli, con umanitario spirito, precorrendo i tempi, facevano ai propri salariati le migliori condizioni: davano agli stessi casa gratuita e fuoco, premi in danaro, pacchi alimentari nelle feste solenni. In caso di malattie continuavano a corrispondere il salario, per intero. I vecchi, senza famiglia, erano persino trattenuti nell'azienda, come pensionati.
     Ma lo spirito di umana solidarietà si esercitava anche in altro ordine.
     Erano anni quelli, in cui allora si viveva, molto tristi, per una grave carestia. Per le scale di casa nostra era un viavai, senza sosta, di povera gente, che chiedeva pane. E pane aveva. Nessuno ridiscendeva le scale, che penosamente erano state salite, senza portare con sé qualche cosa, senza rivolgere a quella casa la sua benedizione.


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Umberto