Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Poi anche Santuccio, vinto dalla stanchezza, cadde nel sonno.



     Il risveglio sul mare, in una calma giornata estiva, muove sempre alla tenerezza. Gli animi di quei montanari si riempirono di meraviglia quando sull'alba, dalle cuccette, salirono in coperta. Non vedevano, nel pallido azzurro diffuso, che acqua, mossa appena dalla lieve brezza, che sfiorava le navi, carezzava il viso. Non sentivano, nella vastità dello spazio, che la malinconica solitudine. La meraviglia crebbe quando apparve, in uno scintillante tremolio, il maestoso disco incandescente del sole.
     I marinai veneti, che nulla capivano del loro stato d'animo e del loro linguaggio, li guardavano con attenta simpatia.



     Mentre le navi andavano con tranquilla lentezza, a Teramo, il preside Torrejon festeggiava la vittoria sulla montagna. Aveva detto un giorno non lontano, in una riunione, ironicamente: - La Spagna dimostrerà, tra breve, la sua decadenza! -

     Aveva avuto ragione, senza capire, il burbanzoso iberico, che la vittoria non la doveva alla forza del suo genio o alla potenza delle sue armi, ma alla discordia abilmente alimentata nel campo avversario.
     "I banditi allora finiranno, quando se la piglieranno tra loro", era stato detto ed era stato detto il vero.
     Il Torrejon, assecondato dalla solita teppaglia, ne faceva festa, miserevolmente.
     Il nobile patriota de Adamnis ne esprimeva, ai pochi amici che ancora lo visitavano, tutto il suo dolore. Sarebbe ricaduto sulla montagna il silenzio dei secoli, ma a danno delle sante umane idealità. Chi più avrebbe tenuta accesa la fiamma che doveva condurre all'unità nazionale? I principi s'abbrutivano nei vizi e negli intrighi vergognosi; i nobili, privi d'onore, s'abbandonavano alla lussuria; il popolo imbestialiva nelle orge o moriva nella miseria.


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Umberto