Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     "Guai a voi, gente senza fede e senza patria" pareva che dicesse, nei suoi soliloqui, il nobile de Adamnis. "Non dovrà dare più asilo a voi la terra luminosa dei santi, dei martiri, degli eroi. Il vostro posto è là, dove arida è la terra, fosco il cielo, sbiadito il sole."
     Non disperava il bravo patriota, ma non poteva neppure sottrarsi ai forti scoramenti. Interveniva a confortarlo, come sempre, la compagna affettuosa. I suoi proponimenti erano sacri, senza dubbio. Qualche volta però, dinanzi alle contrarietà, spesso inevitabili, bisognava con santa rassegnazione chinare il capo.
     Doveva trovare a ogni modo conforto nel suo passato, splendido di attività, santo di sacrifici, per dare tregua alle angustie. E in questa tregua dedicasi ad altre attività e cercare di rendere più bella la casa, più ampio il giardino, più ricca di alberi la campagna circostante. E arricchire la biblioteca di nuovi libri, la mente di nuove idee, l'anima ansiosa di nuova poesia. E avrebbero fermato sulla carta i propri pensieri, le alterne vicende, la luminosità dei loro giorni felici.

     I banditi erano scomparsi o stavano per scomparire, ma sulla montagna rimaneva accesa, nella minuscola repubblica di Senarica e nella gloria di Poggio Umbricchio, la fiammella dalla quale gli italiani dovevano attingere un giorno la fatidica scintilla per accendere il grande fuoco della purificazione e della redenzione.


     D'altra natura erano le riflessioni di Cinzia, di Barbara, di Francesca. Riandavano alla loro fanciullezza, trascorsa lietamente in quelle stesse case, dove, dopo tante vicende, erano tornate. Strana trovavano la vita, con le sue luci e le sue ombre. Non potevano mai pensare allora al dramma, del quale dovevano essere protagoniste. Dolce era stato l'inganno che le aveva avvolte, nella primavera in fiore, dolce l'idillio, brusco il risveglio.


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Umberto