Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Si agitavano intanto a mio favore, tra i primi, i componenti del Comitato di liberazione, che rappresentavano la cittā in ogni ordine di idee, di dottrine, di aspirazioni.
     Non poteva avere la mia onesta opera, a scorno del bisbetico mestatore, premio pių ambito.
     Peroravano ancora la mia causa, concordemente e fraternamente, presso le autoritā, gli avvocati
     Pio Mazzoni e Arturo Massignani, il maggiore Luigi Bologna, il capitano Carlo Canger, gli Israeliti, gli sfollati, gli stessi partigiani, tra cui Armando Ammazzalorso, che mi visitava in carcere.
     Una vera affettuosa plebiscitaria manifestazione, che molto confortava. Di conseguenza, senza che io fossi sottoposto ad un vero e proprio interrogatorio, con atto di squisita cortesia, il maggiore comandante della polizia inglese, veniva di persona a restituirmi la libertā.

     La libertā! Patrimonio prezioso, diritto sacro, sempre esaltato e benedetto, ma che l'uomo, per la stessa volubile bizzarra sua natura, non č riuscito, nč forse mai riuscirā a godere appieno.
     Dalle massicce inferriate avevo considerato commosso lo spazio senza confine. Avevo guardato, con invidia, il contadino che bruciava, nell'aperta campagna, sotto i cocenti raggi del sole di luglio; l'artigiano che sudava, affaticato, nell'infuocata officina; la lavandaia che cantava, nel basso, con le acque del fiume; lo spazzino che si trascinava, in stanchi movimenti, con i suoi attrezzi, su la sua impolverata strada.
     Tutti sembravano a me superiori, nella loro libertā, persino i matti, che lavoravano silenziosi nel loro orto agrario, su le rive del Vezzola.


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Umberto