Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Smarrimenti

     Lo sgomento aumentava con l'aumentare delle violenze, tanto pił che le truppe della liberazione, fedeli ai loro metodi, avanzavano senza fretta. Nell'ansia si mandavano esploratori oltre le valli, oltre i fiumi, su le vette delle colline, ma le notizie che se ne avevano non erano incoraggianti. Quantunque i Tedeschi, nella loro ritirata, non dessero pił molestia, l'avanzata degli alleati continuava con mortale lentezza.
     Si temeva anche per l'ordine interno. Non si riteneva consigliabile sollecitare un intervento anticipato dei partigiani, non avendo essi mezzi sufficienti. Nulla, invero, avevano potuto fare contro quelle colonne, che, con ricco bottino, risalivano indisturbate le vie, dalle quali erano discese.
     Concorrevano alcuni, invece, ad aumentare la confusione ed il panico, mandando dalla montagna lettere minatorie. Ne perveniva una anche a me, con la quale mi si ingiungeva di abbandonare subito l'ufficio se intendevo vivere ancora qualche giorno.

     Ecco a che conduceva il risveglio di certi istinti, celati nel fondo dell'animo umano. lo, Podestą di Teramo, che tanto avevo fatto, disinteressatamente, per il risanamento morale e materiale della pubblica amministrazione e della cittą; io, che avevo dedicato, per oltre sette anni, tutte le mie ore, tutta la mia attivitą, la parte migliore di me stesso a favore del popolo, ed avevo assistito, confortato fraternamente, in tutti i modi, le famiglie degli stessi partigiani; io, che dinanzi alle pił gravi responsabilitą ed ai pił gravi pericoli non ero fuggito, e non avevo esitato un momento ad offrire la mia vita, per salvare quella dei miei concittadini e della mia cittą, dovevo essere magari impiccato, come un malfattore.


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Umberto