Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Teramo ebbe a rendersi in quell'eccezionale periodo, forse come nessun'altra cittą, molto benemerita per la sua squisita sensibile generositą. Appariva ai profughi, nella dolorosa peregrinazione, come concordemente dichiaravano, un'oasi ricca di verde e di freschezza, in cui ritempravano le esauste forze, ravvivavano le scosse speranze. Oasi che sarebbe rimasta, nel volgere del tempo, particolarmente cara nel loro ricordo.

     Non mancavano, nella educazione latina, atti di squisita cavalleria, ignorata, spesso, dalle altre razze, sempre disposte, nella loro arroganza materialistica, ad umiliare, a maltrattare, a offendere i deboli, i vinti, i colpiti dalla sfortuna.
     Nel moderno edificio delle magistrali "Giannina Milli", trasformato in ospedale di guerra, fra i feriti e gli ammalati, vi erano anche ufficiali e soldati dell'esercito inglese, caduti prigionieri. Quale capo della cittą, accompagnato dalla dama della Croce Rossa Amina Panzieri e dal maggiore medico Guido Bindi, facevo pure ad essi una visita di cortesia. Ve ne erano di tutte le razze, di tutte le religioni, di tutti i continenti. Di nulla avevano bisogno, essendo forniti di generi, anche di lusso, che giungevano loro da ogni parte, quasi giornalmente e in abbondanza tale da poter soddisfare, a profusione, ogni esigenza.

     Gli Inglesi, ed anche gli Americani, trattavano bene coloro che, in loro difesa e per la loro grandezza, dovevano dare la vita!
     Gli Africani, dai letti in cui giacevano, mi fissavano con occhi mestamente espressivi, come se pensassero in quel momento, ai monti, alle valli, ai fiumi, alle foreste misteriose della loro terra bruciata dal sole; una leggera ironia pareva che sfiorasse i volti gialli degli Asiatici.


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Umberto