Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Questa raccomandazione, giunta ambiguamente dall'alto, era variamente intesa, in diverso modo applicata. Anche il silenzio sulle clausole dell'armistizio era motivo di molte discussioni. I soldati, intanto, anche di Teramo, una volta che non dovevano più combattere, si ritenevano, nel nuovo governo, sciolti da ogni vincolo, da ogni giuramento. Di conseguenza, a mano a mano, svestita la divisa, che vendevano o barattavano, ciò che forse non avevano previsto i nuovi salvatori della patria, in fuga anch'essi, s'allontanavano in tutta fretta. Gli ufficiali, purtroppo, tranne poche onorevoli eccezioni, in tanta confusione, non sapevano resistere dal seguire l'esempio dei loro soldati e del nuovo governo.

     I timori di violenze, in tanto disordine, non erano infondati, poichè apparivano già, qua e là, i segni del risveglio dei bassi istinti umani. Dagli atti che già si commettevano era evidente che non si temevano più quelle leggi, che dovevano assicurare, alla convivenza civile, ordine, disciplina, sicurezza.

     Con lo sfasciarsi dell'esercito, s'iniziavano quelle azioni, dalle quali la folla esaltata acquistava, fatalmente, una sola accesa fisonomia, un solo torvo aspetto. In queste azioni, il latin sangue gentile, dimostrava, purtroppo, di non essere dissimile, in certe manifestazioni, da quegli altri popoli, che si chiamavano ancora inferiori. I componenti di quella folla, i più accesi s'intende, pochi però, per fortuna, forse forestieri, assalivano, con rabbiosa furia, le caserme abbandonate, i depositi, i negozi, gli uffici, ne forzavano le porte, vi entravano, ne asportavano quanto ancora vi si potesse trovare in viveri, in indumenti, in mobili, in altri valori. Asportavano ancora, con uguale satanico spirito, le imposte delle porte e delle finestre; asportavano dal tetto le tegole, dai pavimenti le mattonelle, dai muri quanto vi si trovava conficcato, non esclusi i chiodi.


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Umberto