SEGRETARIO - (con ironia) Molto generoso l'eccellentissimo magnanimo Viceré, ma è bene che si sappia subito, per evitare incresciosi malintesi, che non cerchiamo pietà, né indulgenza. 
 
     PRESIDE - (un po' contrariato) E che cosa vorreste? 
 
     SEGRETARIO - Il riconoscimento dei nostri diritti, la legalità della nostra lotta, la santità delle nostre aspirazioni. 
 
     PRESIDE - (turbato) Cioè? 
 
     SEGRETARIO - Non vi dovrebbe essere difficile capirlo. 
 
     PRESIDE - Sarebbe? 
 
     SEGRETARIO - Con lo sgombero delle vostre truppe e del vostro mal governo da questa provincia o meglio da tutta l'Italia. 
 
     PRESIDE - (cambiando un po' tono) Abbiate rispetto, vi prego, per la più generosa, illuminata potenza che allieta oggi il genere umano. 
 
     SEGRETARIO - Letizia alla quale i lupi del Martese, da voi testé conosciuti a Montorio, volentieri rinunciano. 
 
 
     PRESIDE - (cercando di conservare la calma) Ma ragioniamo, ragioniamo, benedetto uomo. 
 
     SEGRETARIO - I termini sono chiari, immutabili. 
 
     PRESIDE - (che va perdendo la pazienza) Allora vi debbo avvertire, per vostra norma, che sono finiti i tempi dei deboli Vicari. 
 
     SEGRETARIO - (come soddisfatto) Siamo al vostro linguaggio. Possiamo meglio intenderci. 
 
     PRESIDE - In che modo? 
 
     SEGRETARIO - (capito l'inutilità di quell'incontro, andando verso la logica conclusione) Col dirvi, signor Preside, che da troppo tempo dura il vostro felice... dominio; col dirvi che voi, degeneri latini, avete deformata la nostra natura, guastato il nostro spirito, distrutto le nostre virtù, inculcato i vostri vizi. 
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