Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Dramma in quattro atti)


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     MONTECCHI - Anch'io, che ne ho un po' studiata, in seminario, la gloriosa storia, amo Venezia. Darei per essa, come dire per l'Italia, volentieri la mia vita.

     SANTUCCIO - E potrebbe verificarsi anche questo. Un giorno forse, correremo anche noi ad unire le nostre forze a quelle della Serenissima che lavorano per conservare la grandezza latina.

     TITTA - E forse anche per ricostituire l'unità d'Italia.

     MONTECCHI - Quindi guerra, in territorio più vasto, con mire più grandiose.

     SANTUCCIO - Vera guerra di liberazione.

     MONTECCHI - Potrebbero trovare tali affermazioni nelle parole del mago di Nepezzano.

     TITTA - Già. Il mago di Nepezzano che pretende di indovinare l'avvenire e guarire gli inguaribili. E' davvero un campione di impostura.

     MONTECCHI - Al quale molti credono. Tempo fa lo volli appunto visitare, per curiosità. Lo trovai, nella sua spelonga, in compagnia di serpi, avvoltoi e altre bestiacce. Molte cose mi disse sull'avvenire di una città che sorgeva dal mare, e sull'avvenire della patria riconquistata da innumerevoli armati in vittoriosa marcia dal nord d'Italia. Renitente fu nelle rivelazioni che mi riguardavano. Disse solo che vedeva sulla cima d'un monte della Dalmazia una colonna di marmo, con molti nomi in essa scolpiti, un nome in mezzo, a lettere grandi, illuminato da viva luce.


     SANTUCCIO - Non sono nuovi i profeti, nella storia del mondo. La vita, ad ogni modo, è sempre avvolta di mistero. Ma lasciamo andare questi discorsi. Mio fratello Giovanni tra poco sarà qui.

     (In questo momento guardando fuori veggono avvicinarsi Giovanni. Tutti gli corrono incontro, lasciando il palcoscenico. Vi rientrano, poco dopo, con Giovanni, accolto festosamente.)


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Umberto