Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Dramma in quattro atti)


Pagina 17
1-5- 10-15- 20-25- 30

[Indice]


     TITTA - Io verrò con te, con tutta la mia banda.

     SANTUCCIO - Verremmo anche noi, se un altro dovere non ci costringesse di rimanere ancora a tenere viva, tra queste montagne, la fiamma della redenzione. Anche noi crediamo, con il mago di Nepezzano, che dal nord dovrà iniziarsi la fatale marcia delle legioni liberatrici. E se con quelle legioni non vi potremmo essere noi, vi saranno senza dubbio, con le bandiere coperte di sangue e di gloria, con il nostro spirito e con il nostro valore, i nostri discendenti. E l'Italia sarà grande.

     MONTECCHI - Vi sono fatti che fanno rimanere pensosi e fanno sperare.

     TITTA - Voi restate, come lievito, tra questi nostri cari monti. Io andò, ad anticipare i tempi, in Dalmazia, con Giovanni. Là aspetteremo la vostra venuta, in tempo più propizio, per la lotta più ampia.


     SANTUCCIO - Approviamo. Facciamo ora festa in onore del mio prode fratello Giovanni.

     (Sulla festa, che si svolge tra canti, suono d'organini e balli, si chiude il)

     SIPARIO



     ATTO TERZO

     SCENA PRIMA

     Dopo qualche tempo, nello stesso ufficio del Vicario, tornato a Napoli, il preside Alonso Torrejon, autentico spagnuolo, parla con il segretario, pure spagnuolo, già a Teramo da qualche tempo.

     PRESIDE - (molto rattristato) Sono davvero anime dannate questi banditi. Non si vincono, no, in campo aperto. A Montorio, dove l'altro giorno ci eravamo presentati nelle migliori condizioni per vincere, fummo ancora una volta vergognosamente battuti. Salivano, questi furfanti, dal fiume, sbucavano dalle grotte, scendevano dai boschi come fantasmi, si lanciavano su di noi come lupi.


[Pagina Precedente] - [Indice] - [Pagina Successiva]

Umberto