Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Dramma in quattro atti)


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     SANTUCCIO - Si, ma i giovani come quelli là. (Indicandoli con la mano anche se non sono i vista.) A trent'anni non più la pallida luna, ma il fiammeggiante sole vuole la donna: il sole che riscalda i sensi, il sangue, il cuore.

     MONTECCHI - Ma anche a trent'anni, che non è poi un'età avanzata, si possono avere i dolci abbandoni e godere e noi godevamo con il cuore colmo di poesia quando fummo scossi da spari di fucile, da rintocchi di campane e da grida: "I banditi, i banditi."

     TITTA - Che era successo?

     MONTECCHI - Alcuni uomini della mia banda, che vigilavano non lontano, erano stati scoperti, provocando tutto quel rumore.

     SANTUCCIO - E tu?

     MONTECCHI - Cinzia, tale è il nome di lei, mi esortava a non muovermi, ché belve erano i banditi, senza sapere che ella stessa, in quel momento, parlava con un loro capo.


     TITTA - Vicende da romanzo.

     MONTECCHI - O da dramma, ma io, per allora, piantai il canto delle deliziosa notte e corsi ansioso verso la campagna.

     SANTUCCIO - Ed ora?

     MONTECCHI - L'idillio continua ma con maggior prudenza.

     SANTUCCIO - Via, via il romanzo e si vada al sodo. Non contraemmo noi, senza tanti notturni sospiri, nozze illustri? Titta non sposò Francesca, dei baroni Roccatani di Cellino? La mia Barbara non appartiene alla nobile famiglia Rozzi di Campli?
     Il momento è favorevole. Vi è già dalla parte nostra la ragione della forza. Ma in questo tempo, per i forti nostri propositi, per la paura che ovunque inculchiamo, per il prestigio che godiamo, molte cose ci sono favorevoli. Quindi si corra verso le nozze.


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Umberto