Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Dramma in quattro atti)


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     (Pausa)

     GIOVANI - E poi?

     SANTUCCIO - Sarebbe meglio di finire qui il racconto.

     CENTIOLO Perché?

     SANTUCCIO - Per non dire cose spiacevoli.

     MASSIO - E sarebbe?

     SANTUCCIO - Che Marco Sciarra concorse, in modo notevole, a salvare Venezia, ma Venezia nulla fece per salvare Marco Sciarra dal pugnale d'un infame sicario.

     CENTIOLO Ma perché fu pugnalato?

     SANTUCCIO - Per la solita infamia. Non ve ne affliggete, però, ragazzi. Col tempo imparerete a conoscere anche voi, nelle sue stranezze, la vita. In tal modo finiva Marco Sciarra, il padre del banditismo politico abruzzese, l'invincibile re delle nostre montagne, l'eroe della Croazia.

     CENTIOLO Non si era difeso?

     SANTUCCIO - Nel sonno era stato colpito l'eroe e da uno della sua banda, prezzolato da Napoli.

     (Interrompe il racconto il ritorno da una ricognizione, con le loro bande, e da una requisizione di viveri, altri due capi banditi: Titta Colranieri e Giulio Montecchi.)


     SANTUCCIO - (che va loro incontro) Novità?

     TITTA - Tutto tranquillo a Teramo. Nessuno pensa, almeno per ora, di ritentare la prova della sconfitta. Il nuovo Vicario, napoletano puro sangue, va tentando, ma inutilmente, una pacificazione. Tempo fa, come abbiamo saputo, riunì presso di sé, nel suo ufficio, i migliori cittadini, ma senza nulla concludere. Anzi uno di essi mosse, senza paura, le più aspre critiche al mal governo spagnuolo.

     SANTUCCIO - Come si vede, vi sono ancora coraggiosi interamniti...

     MONTECCHI - Senza dubbio, ma non come quelli delle passate generazioni, quando si facevano seppellire sotto le macerie per difendere, con la libertà, i santi ideali di famiglia, di razza, di patria.


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Umberto