Federico Adamoli
CRONACA DI UN RAMAIO TERAMANO


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     Un altro lavorante aquilano della rameria forse fu anche Giandomenico Quartapella, con il quale esistevano alcune trattative nell’agosto 1891: a questi viene scritto che le sue proposte possono essere accettate, «rimane solo di conoscere la vostra posizione morale e materiale, e di fare anche un conziglio fra noi due fratelli» (15).
     Quando nel 1892 la gestione della rameria degli Adamoli entra in crisi a causa della malattia di Gelasio, che è costretto ad interrompere definitivamente il lavoro (anche il figlio Antonio lascia la rameria per la vita militare), la necessità di sostituire il maestro fonditore costringe Giovanni a stabilire contatti con i cugini lombardi che, a dimostrare le tradizioni di famiglia nella lavorazione del rame, annoverano diversi maestri fonditori. Giovanni rivolge l’invito al cugino Fortunato di Narro (frazione del comune di Casargo): «per causa di questa maledetta sfortuna che si è compinata ci troviamo sfornito di un maestro in questa fonderia, e così mi raccomando a voi volermi procurare un buon maestro che sia bravo lavorare all'uso delle nostre parta, fosse anche il cugino Vittorio ne avrei più piacere, a voi non ve lo dico perché so che vi siete ritirato in casa. Del resto cercate voi di aiutarmi in questa circostanza perché ho la fabrica chiusa e pago £ 125 mensile e poi vado a perdere la clientela. Ditemi se è buono il cugino Leopoldo che sta in Toscana». Giovanni si rivolge anche a un certo Bartolomeo Ghizzone di Benzio (16), che gli è stato segnalato da un fornitore piemontese di Cuorgné: chiedendo le condizioni e una sollecita risposta Adamoli si ritiene certo «che siete capace di lavorare anche all'uso nostro qui negli Abbruzzi, benzì poco differente (...) poi un buon maestro subito piglia la pratica». I contatti non avranno alcun seguito, perché l’affitto della rameria nel giro di qualche tempo viene disdetto e la struttura è restituita agli Spinozzi, mentre continua fino al 1893 l'attività commerciale nel laboratorio della Cona (17), che si conclude con la morte di Giovanni Adamoli.

(15) Nella lettera al Quartapella si trova pure una curiosa polemica a proposito di uno scritto anonimo, recapitato a fine intimidatorio, attinente forse l’attività svolta da un calderaio aquilano nella piazza teramana: «Chi lo ha scritto è stato un vilo perché avuto paura far conoscere il suo nome. Senza riflettere che oggi il commercio è libero per tutti. Se tutti i caldarai di costì vuole venire nella nostra piazza chi li puole impedire? Ed a me è certo che non mi dispiace perché sono di principio civile e conosco affondo il commercio moderno».

(16) Se il cognome di questo Bartolomeo Ghizzone dovesse essere stato riportato erroneamente, c'è da ritenere che potrebbe trattarsi di un altro componente dei menzionati Ghizzoni.

(17) Presso il laboratorio della Cona ha lavorato nel corso del 1890 come apprendista calderaio Michelangelo Ferrante di Cellino Attanasio. Al termine del periodo di lavoro il commerciante teramano prepara un conto, dal quale risulta che il compenso per due mesi e mezzo di lavoro è pari a lire 25, da cui vanno dedotti: £ 24,25 per «un costumo cappello con una cravatta ed un cocono lavorato», £ 5 per il medico, £ 1 per la vettura al medico stesso, £ 2 per le medicine. Risulta pertanto che il Ferrante stesso deve a Giovanni Adamoli £ 7,15!


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