Federico Adamoli
CRONACA DI UN RAMAIO TERAMANO


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     Numerose sono le accuse che vengono formulate ai 25 arrestati - quasi tutti di Paganica - nella fase istruttoria: si va dalle minacce verbali al lancio di pietre verso persone ed abitazioni, dalla associazione segreta rivoluzionaria, alla promozione del malcontento verso i regnanti borbonici, oltre a specifici episodi quali il dileggio e la rottura di un mezzo busto di gesso raffigurante il Re situato presso la Cancelleria del Giudicato Regio di Paganica, ed il disarmamento arbitrario di tre militari nella ex Reale Gendermeria.
     In un rapporto Riservatissimo del 18 luglio 1849 si legge che Strina e Vicentini (i quali verranno tratti in arresto nel successivo mese di dicembre) "non pure sono avversi al Governo ed all'ordine, ma benanche non han ritegno di spingersi financo a vie di fatto contro pacifici cittadini". I due, i cui nomi nelle carte processuali figurano spessissimo a braccetto, facevano entrambi parte del "Comitato della Morte" costituitosi a Paganica all'epoca della rivoluzione del 1848; comitato che si riuniva solitamente nel Caffè di Giacinto Pietrangeli (come pure nella spezieria di Giandomenico Tascione, in casa di D. Andrea Rosei, nel locale del Giudicato Regio, nel forno di Camillo Visca). Vicentini addirittura ne è Presidente, e con il concorso di Isidoro Strina teneva una corrispondenza con lo Stato Pontificio; entrambi, nelle riunioni settarie, usavano leggere lettere e fogli stampati di natura rivoluzionaria che ricevevano dall'estero.

     Per chiarire il clima di tensione e di provocazione che esisteva in quei tempi a Paganica tra realisti e rivoluzionari, si può attingere all'esposto di accusa presentato nell'ottobre 1849 da Giovanni Vivio, nel quale questi richiede espressamente l'arresto di Ascanio Vicentini, che avverrà effettivamente il 12 dicembre successivo, quando il capo del comitato rivoluzionario viene prelevato nel locale del Giudicato Regio di Paganica e condotto nel Carcere Centrale di Aquila, seguito sei giorni dopo dal cognato Isidoro che viene prelevato nella pubblica Piazza di Aquila, presso la bottega di D. Francesco Palumbo.


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Federico Adamoli