Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     In cambio dei picchetti e dei sostegni ci si era data, da portare in campagna, una coperta di lana oltremodo pesante, perfettamente inutile in quella mite stagione. Imponendo il buon senso di levarla via, il comando della brigata, per non assumere la responsabilità del provvedimento, provocò fra i granatieri una votazione plebiscitaria; e così la coperta, in grazie al voto unanime per la sua abolizione, venne rimandata ai magazzini.
     Perché poi ci sia stato sempre severamente vietato di appendere per la bretella il fucile alla spalla, non ho mai potuto spiegare. E nessuno, né allora né mai, mi seppe dire, perché quella striscia di cuoio imbiancata dovesse rimaner sempre rigorosamente tesa lungo la cassa. Durante una marcia faticosa un imprudente, stanco di palleggiarsi l'ingombrante fucile da un braccio all'altro, si permise di allentare la bretella, e di servirsene. A tanto sacrilegio gli furono addosso il caporale, il sergente, il tenente, il capitano; la bretella fu tesa di nuovo solennemente, e il granatiere consegnato alla tappa. Il sacro mistero della bretella non verrà rivelato, mai.

     Il keppy, coperto d'incerato nero, era un po' pesante; il cinturone, a cui si attaccavano la daga massiccia, la baionetta e la giberna con venti cartucce, stancava e addolorava il fianco; si sudava a grosse gocce per lustrare a cera lo zaino, anch'esso di pelle, nel quale si custodivano, oltre il corredo, altre venti cartucce, che la vigilia del combattimento passavano nel tascapane. Del resto, gli effetti di vestiario andavano assai bene, quantunque non fossero perfezionati come al giorno d'oggi.


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Umberto