Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Per essere giusti bisogna confessare, che molti dei nostri offrivano pur troppo appiglio alle recriminazioni. Provenienti da regioni, dove l'aborrimento per lo straniero da tanti anni distoglieva i cittadini dalla carriera delle armi; dove stimavasi obbrobrioso ogni contatto con chi vestiva la divisa militare: cresciuti senza tradizioni guerriere, senza spirito di disciplina, i volontari facilmente consideravano i superiori come tiranni, il regolamento come una pedanteria, e scherzavano su le minuzie della teoria, discutendo ove il discutere è colpa. Né mancavano coloro, che rimpiangendo noiosamente gli agi abbandonati, pretendevano fantastici trattamenti, aumentando nel reggimento la categoria dei così detti pelandroni. Un certo conte, di cui ho dimenticato il nome e la compagnia, era evitato da tutti, perciò non rifiniva dal rimpiangere i suoi cani, i suoi cavalli, non so ancora che cosa altro di suo. Guai a capitargli fra le unghie!

     Per me, non ebbi che a lodarmi sempre, lo ripeto, della bontà e della cortesia degli ufficiali, dei sergenti e dei commilitoni. Perfino dell'ospedale militare di Alessandria, ove entrai affetto da una lieve gastrite, conservo un ricordo non disaggradevole. Mi venne assegnata una linda cameretta, insieme con un altro volontario, che non so perché passava la giornata a guardarsi in uno specchietto. Fui messo in un lettuccio di ferro dalle candide coltri; il medico mi curò bene; suor Maria, una monaca avvenente e gentile, mi assisté con premure angeliche. Senza l'incubo di veder partire il reggimento, e rimanere indietro, avrei trovato quel soggiorno niente affatto penoso; tanto più che le visite, le lettere, le attenzioni degli amici, dei parenti e dei commilitoni furono, in quella occasione, perfino esagerate.


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Umberto