Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Il Cadolini era solo, forse, o per lo meno il più tenace nella illusione, e ronzava sovente intorno al generale per trovare il momento opportuno di ripetergli l'antifona conciliatrice. Lo colse una volta, e gli tenne un discorso commovente. Il generale lo ascoltò tranquillo, lo guardò blando, e, senza aggiunger verbo, gli donò una camicia rossa di tessuto finissimo, ricamata in seta, che faceva il paio con un'altra, che egli serbò per sé, offertegli da un'ardente ammiratrice catanese.
     Quella risposta al Cadolini, fatta in quel modo così semplice, accompagnata da uno di quei suoi sorrisi, che parevano innocenti, è impagabile. Non solo significava: “lasciatemi un po' in pace, con le vostre argomentazioni; fareste meglio a indossare questa camicia, e venirvene con me”: ma aveva, insieme, un'impronta di umorismo così bonario, una grazia così delicata, da superare le più fine creazioni del Tristram Shandy. Garibaldi era maestro in questo genere di arguzie, ed è peccato che egli non abbia avuto, come l'Apollonio Tianeo, il suo Damide per raccoglierle in un volume.

     Non tutti però i buoni uffici de' nostri deputati riescirono inefficaci. Essi ottennero la soppressione di un proclama incendiario; persuasero padre Pantaleo a desistere dalle prediche esaltate; essi diedero savi consigli ai numerosi ufficiali dell'esercito che avevano chieste le dimissioni, e a quelli che volevano chiederle; indussero molti disertori a far ritorno ai loro reggimenti; si intromisero fra il Municipio ed il generale Mella, calmando la cittadinanza. Dopo che Garibaldi ebbe lasciato Catania, essi si avviarono per terra a Messina e di là, su l'Abatucci, a Napoli, ove Mordini, Fabrizi e Calvino furono arrestati con quel risultamento, che tutti sanno, e che ebbe alla Camera un'eco così clamorosa.


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Umberto