Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     “- Sì,” rispose Garibaldi; “più saremo e più presto torneremo.”
     Io non dirò del delirio di quei giorni. Da un capo all'altro della penisola la voce che Garibaldi avesse nuovamente deciso di fare appello alla gioventù, corse in un baleno, pure ignorandosi ov' egli mirasse, come l'annunzio di una buona novella. Lo si seguiva con ansia tormentosa. Abortito il tentativo di Sarnico, egli è a Belgirate, poi a Torino, infine a Caprera. A un tratto, ai primi di luglio, lo si sa sbarcato a Palermo: e di lì a pochi giorni, fra la meraviglia degli uni e la gioia degli altri, si legge su per i giornali, che egli ha proclamato la crociata al grido fatidico di “Roma o morte!”
     Io lavoravo allora, da ingegnere, alla costruzione della ferrovia Milano-Pavia, e dimoravo a Landriano, un paese un po' fuor di strada, e dove non potevo seguire regolarmente le fasi dei movimenti politici. Però gli amici mi tenevano al corrente; l'inseparabile Frigerio, al quale chiedevo con insistenza precisi ragguagli intorno ai preparativi di Sicilia, mi rispondeva da Milano il 27 luglio: “È verissimo che si vocifera di una spedizione, ma di certo ne sappiamo tanto noi qui quanto tu nel tuo villaggio: se però ci sarà qualche cosa, te ne terrò avvisato per lettera, o per telegrafo in caso di urgenza, ossia di partenza; in quest'ultimo caso il telegramma sarà così concepito: “l'affare è combinato; vieni”. Fu a Milano Eber: partì ieri per l'Italia meridionale con Turr: per me è questo il segno più sicuro”.

     Intanto, come pretesto per ottenere il passaporto, giacchè si parlava di ordini rigorosi impartiti dal governo a fine di non lasciare andare volontari in Sicilia, mi facevo scrivere dai conoscenti di laggiù di sollecitare l'arrivo mio e dei compagni per assumere appalti di ferrovie, delle quali allora si era iniziata la costruzione. Una lettera dell'ingegnere De Cristoforis, che aveva capita l'antifona, è un capolavoro del genere.


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Umberto