Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Usammo severità, e per rafforzar la disciplina simulammo un esempio di rigore. Colto un soldato a rubare, lo si fece condannare dal consiglio alla fucilazione, lo si menò con tutto l'apparato scenico, dinanzi alle truppe schierate, e non gli venne annunziata la grazia che all'ultimo istante, quando aveva già gli occhi bendati. Ma non mi pare che la commedia ottenesse un grande effetto!
     Meglio provvide il ripigliar di nuovo la vita attiva, allorché anche noi finalmente, il 23 e il 24 agosto, traversammo lo stretto, e, appena su la terraferma, impegnammo con le altre brigate quella corsa vertiginosa, in cui si faceva a gara per raggiungere il dittatore, che precedeva tutti, e per aver l'onore d'ingaggiare il fuoco con i regi, che battevano in ritirata.

     “Ammoninni, picciotti!”, era il motto di quei giorni, “Andiamo, figliuoli!”: e via a marce forzate, mal seguiti dalla intendenza, e però soffrendo la fame, non curando di seminar mezza la brigata per la strada, riposando, se riposo era mai una breve sosta affannosa, accampati all'aria aperta, non mai sospettando che i pochi arrivati potessero non bastar sempre a vincere. Altro che i placidi e festosi accoglimenti di Sicilia! Le borgate, lungo la via consolare, già percorsa da' borbonici prima, poi dai garibaldini, e già prive degli uomini atti alle armi, reclutati man mano dallo Stocco, avevano ben altro a fare che venirci incontro ed acclamarci. Eppure la gioia di calcare il suolo della penisola ci faceva trovar facili i disagi, ameno il luogo, allegre e festanti le popolazioni.


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Umberto