I danneggiati politici del Risorgimento (*)

di Federico Adamoli

Seconda parte

Crispi rievoca i giorni vissuti sui campi di battaglia, e fa presente che "bisogna essersi trovati nelle rivoluzioni, per capire la logica del risarcimento dei danni. Quando si giunge in un comune, e si trovano le case bruciate, i cittadini o uccisi in combattimento o dispersi perché, per mancanza di armi, non tutti potevano opporsi alle orde invaditrici della tirannide, non c'è cuore che possa resistere, e non vi è un uomo che incrociando le braccia al seno, resti indifferente a tanto disastro! Nel 18 maggio 1860, io ed altri entravamo a Partinico con Garibaldi, e quella città ci offriva questo orribile spettacolo! In quella guerra selvaggia che per ordini ancora più selvaggi si faceva dalle truppe borboniche, ogni soldato era provvisto di una bottiglia di acqua ragia ed aveva ordine, passando pei comuni, bruciare a dritta e a sinistra tutto quello che c'era. (...) Si voleva incutere terrore alla cittadinanza, affinché essa non si associasse alla guerra per la libertà".

Quando a Palermo scoppiò la rivoluzione del 1848, il Re faceva la guerra con le bombe (meritandosi l'ingiurioso appellativo di "Re bomba"): "gli operai percorrevano imperterriti le strade e dimostravano la loro virtù andando a spegnere le micce delle bombe. Qualche volta succedeva che non arrivassero in tempo e la bomba scoppiando ne faceva macello. Nondimeno spesso giungevano a tempo per togliere la miccia ed allora caricatasi la bomba sulle spalle, venivano trionfando al Palazzo di città gridando che le bombe erano impotenti". Dopo Palermo insorse Messina e "l'eroismo di quel popolo, era tale, da maravigliare e commuovere le intime fibre dei cuori". Dopo 7 mesi di bombardamenti "la città era tutta un incendio! Non v'era strada in cui non fosse fuoco, non v'era casa che fosse illesa, compreso il palazzo municipale!" Quando poi la guerra riprese nell'aprile 1848 lo stesso scenario di fiamme ed incendi si presentò a Catania (5).

Nel maggio 1860, di fronte a Partinico in fiamme, Crispi e Garibaldi compresero che esisteva la necessità di riparare i danni, anche per alimentare l'eroismo e incoraggiare la rivoluzione; essendo la guerra di tutti gli italiani, tutti dovevano partecipare al risarcimento. A fronte di queste necessità fu fatto il Decreto del 18 maggio, che imponeva che i municipi risarcissero i danni di guerra. Nonostante le vittorie da Marsala a Partinico, le principali città erano però ancora in mano al Governo borbonico, quindi non si poteva disporre in tal senso. Lo stesso decreto stabiliva pure che alla fine della guerra lo Stato avrebbe rimborsato ai municipi il denaro erogato.

Il 27 maggio ci fu l'ingresso a Palermo, e gli altri comuni pure si levarono per cacciare le truppe borboniche. Per procedere ai risarcimenti venne fatto il Decreto del 9 giugno 1860, con il quale l'erario italiano non fu direttamente colpito, perché i danni furono (o dovevano) essere risarciti con i fondi locali, per cui si stabilì di utilizzare per lo scopo tutte le rendite delle opere pie (salvo quelle per gli ospedali, per i poveri e per bisogni simili). I risarcimenti iniziarono dal 1860 e con i decreti ministeriali del 1862 e 1863 vennero emessi Buoni che furono distribuiti ai danneggiati. Una volta assolto lo scopo, le rendite sarebbero tornate alle opere pie.

Con la sconfitta della tirannide nel 1860 occorreva pensare non tanto agli esuli, perché "non c'è esule onesto e di cuore, il quale voglia toccare un centesimo del denaro tolto al Borbone", quanto a quei derelitti che avevano “servito con disinteresse la patria, che non pensarono a procurarsi o non lo poterono, una posizione, [e che] si trovano in uno stato di deplorevole miseria" (...) e si trovano spinti (...) a gettarsi in braccio dei clericali e dei borbonici" (Plutino-Agostino).

Nel mese di settembre 1860 Raffaele Conforti, Ministro dell'Interno di Garibaldi, venuto a conoscenza dell'esistenza a Napoli di rendite del Re borbonico spodestato, intestate a Gaetano Rispoli, uomo di corte, ne dispose la confisca, oltre ad altre rendite che facevano capo a principi e principesse (
6). Le somme confiscate dal Conforti (7) erano state accumulate negli anni dalla corte borbonica attraverso la sistematica operazione di sottrazione delle risorse pubbliche del Regno di Napoli: "ogni qual volta nasceva un figlio al Borbone i ministri erano obbligati a provvedere all'appannaggio del neonato, sottraendo al servizio pubblico una somma che mensilmente presentavano al Sovrano. (...) se il ministro di grazia e giustizia doveva fare nomine di magistrati, provvedeva con supplenti, ed economizzava una forte somma che serviva a pagare l'assegno del nuovo nato" (Plutino-Agostino). Così pure, a titolo di esempio, per le nomine di ufficiali, per i reclutamenti, per l'armamento dell'esercito napoletano: veniva sottratta una parte delle somme che il paese pagava, e destinata al Sovrano; tutti i ministri sottraevano somme al servizio pubblico e le destinavano al Sovrano.

Delle rendite confiscate, grazie a un decreto, furono riservate somme per un valore di quasi 26.000.000 di lire italiane da destinarsi ai danneggiati politici delle provincie napoletane. In conseguenza del Decreto Conforti venne fatto un simile provvedimento anche per la Sicilia, emesso negli ultimi giorni di ottobre, quando la dittatura era ormai al termine, con il quale un quarto (
8) delle rendite fosse previsto per i danneggiati della Sicilia del 1848 e 1849. Con queste operazioni in definitiva lo Stato rimaneva estraneo al sacrificio economico sopportato.

Nonostante i decreti, il denaro confiscato non fu effettivamente mai distribuito ai danneggiati, e Francesco Crispi lo fa presente in modo perentorio, concludendo il suo intervento alla Camera con una laconica domanda: "Che se n'è fatto di questo danaro? Si è invertito. Si è invertito? E allora lo Stato c'entra, come ci entra un debitore che ha speso il danaro non suo". Il decreto del 29 ottobre 1860 stabiliva la nomina di una Commissione che avrebbe proceduto alla distribuzione; non essendo però possibile assegnare con immediatezza le somme stesse, lo stato diveniva quindi un depositario, e le tratteneva nell'interesse dei danneggiati, iscrivendole nei bilanci nazionali. Vennero distribuiti alcuni sussidi a favore dei danneggiati più bisognosi nel 1861, quindi più nulla, per 23 anni; ed il denaro venne nel frattempo utilizzato per altri bisogni.

L’impegno formale del Governo, espresso nelle parole del Presidente del Consiglio Depetris, di dare una concreta attuazione al problema dei danneggiati, venne rispettato con la
legge dell’8 luglio 1883 n. 1496, che estendeva i benefici ai danneggiati politici di saccheggi ed incendi avvenuti a Napoli (1848), Messina (1848) e Catania (1849) e a coloro che per cause politiche furono imprigionati, condannati, perseguitati o espulsi dal paese; la legge autorizzava una spesa annua di lire 800.000 e disponeva la nomina di due commissioni (una per le provincie siciliane e una per quelle napoletane) di sette membri (composte da membri del Parlamento, magistrati e funzionari dello stato). Il diritto poteva essere esercitato anche dagli ascendenti, dalle vedove, dai figli e discendenti del danneggiato. I termini previsti dalla legge per i benefici vennero prorogati più volte; non solo, ma questa legge attesa per più di 20 anni finì con l’avere una vita incredibilmente lunga, ed estese il beneficio del vitalizio ai nipoti dei danneggiati; fu abolita solamente nel 1985, quando erano rimasti 470 pronipoti che percepivano un assegno annuale di 60.000 lire! (9)

[PRIMA PARTE]


NOTE

(5) Dal deputato Nicotera viene ricordata la sorte di un'altra piccola città, Pizzo (già provincia di Catanzaro, oggi di Vibo Valentia). "Nel 1848, quando le truppe borboniche, battute al fiume Angitola, dovettero fuggire e fermarsi al Pizzo, ove erano i legni da guerra, pur essendo quella piccola città tranquilla, ed inoffensiva, dopo poche ore, fu messa a sacco e fuoco. Mi sanguina il cuore a rammentarlo: fra gli uccisi vi fu il vecchio Musolino, padre dell'ex-nostro collega, il quale, benché podagroso e gravemente infermo, fu sgozzato e bruciato, e come lui fu trucidato il maggiore dei figli. Per la città si videro innalzati alle baionette innocenti bambini. Quante famiglia agiate furono ridotte alla miseria! E queste famiglie nulla hanno avuto, meno qualcuna la quale talvolta ha potuto ottenere dalla pietà dei ministri dell'interno, un tenue sussidio". ß

(6) Una parte delle rendite confiscate dal Conforti furono restituite alle principesse di Casa Borbone in forza del trattato di pace del 1866. ß

(7) A fronte dei milioni esistenti nelle casse del Regno di Napoli, molti altri risultavano depositati nelle Banche di Londra e di Pietroburgo. ß

(8) La Sicilia negli ordinamenti amministrativi e finanziari del Regno delle Due Sicilie contribuiva alle spese comuni (guerra, marineria, corpo diplomatico, lista civile) per un quarto. ß

(9) Cfr. ‘Quando lo Stato diventa Pantalone’ (fonte: La Stampa) ß