Storia minima risorgimentale
I tre cognati Giuseppe Adamoli, Isidoro Strina e Ascanio Vicentini

di Federico Adamoli

Seconda Parte

La brevissima esperienza di Giuseppe Adamoli nelle prigioni teramane, risoltasi nel migliore dei modi (o quasi), lo espose agli inevitabili rischi legati agli accertamenti che furono condotti circa la sua reputazione morale, religiosa e politica. In particolare erano gli eventi verificatisi nel recente passato nel comune di Paganica (3) (egli ha vissuto a Tempera tra il 1842 e il 1846), scaturiti dai fermenti risorgimentali, che avrebbero potuto rappresentare un pericolo per lui. Giuseppe, lombardo di Narro, frazione del comune di Casargo, giunge a Tempera da Bologna dove ha vissuto per venti anni, lavorando presso la ramiera dei Conti Rossi. Nell'aquilano lavora nella fonderia che gestisce Domenico Strina (affittuario anche della cartiera di D. Ignazio Niccolò Vicentini (4), proprietario pure della Ramiera) e presto si lega indissolubilmente alla famiglia di questi, sposandone la figlia Doralice. Tra gli Strina si vive intensamente il clima risorgimentale, che diede vita nell'aquilano a importanti avvenimenti, come la rivolta scoppiata a L'Aquila nel settembre 1841, nella quale trovò la morte il Colonnello Gennaro Tanfano, il comandante militare della provincia, già spietato repressore dell'insurrezione di Penne del 1837; il processo che seguì i moti aquilani portò a diverse esecuzioni capitali e condanne all'ergastolo.

Il processo per i "Fatti di Paganica" scaturisce nell'atmosfera dei moti rivoluzionari europei del 1848, in seguito ai quali nel Regno delle Due Sicilie il Re Ferdinando II di Borbone è indotto a concedere in tutto il Regno la Costituzione (in Abruzzo l'11 febbraio), abrogata poi con la restaurazione nel maggio dell'anno successivo. A Paganica il clima esacerbato che esisteva tra rivoluzionari e fedeli al regime borbonico produsse una serie di denunce ed arresti. Tra le opposte fazioni si verificavano continue schermaglie verbali fatte di frasi di inneggiamento, insulti, minacce, sputi ed assalti notturni nelle case dei realisti, che venivano fatte oggetto di fitti lanci di pietre. Negli scontri fisici l'attenzione dei rivoluzionari si concentrava soprattutto sui nastri rossi che i realisti usavano apporre sulle pagliette (i più abbienti usavano invece una coccarda rossa sulla giacca o il cappello), espressione visibile della fede politica; i nastri venivano lacerati e strappati dagli assalitori, i più spregiudicati dei quali si ornavano invece con nastri tricolori.

A Paganica inoltre operava sin dal 1848 una associazione rivoluzionaria segreta, nota con il nome di "Comitato della morte", che si proponeva la diffusione nella popolazione del malcontento verso il governo, in vista del rovesciamento del regime.
I numerosi episodi verificatisi soprattutto dopo l'abrogazione della Costituzione culminarono alla fine di luglio 1849 durante la trebbia del grano, con gli ennesimi episodi di offesa verbale e lancio di pietre. La lettura degli atti relativi ad istruttoria e processo ci offrono in verità un ventaglio di turpiloquio politico alquanto vario: il Re, al quale "dovesse tagliarsi la testa, e giuocarci alle bocce" viene dileggiato con le espressioni più colorite: "Croato fottuto", "Muoia Ferdinando lo scarparo", "Fosse accisu quistu Croato", "Croato, assassino, tiranno, succhiatore del sangue dei popoli, traditore"; mentre i giocatori di carte più accesi, trovandosi tra le mani la carte del re, usavano sputacchiarla declamando "Accidente a questo Corvaro".

I primi arresti vengono eseguiti nella notte tra il 30 e 31 luglio; farà seguito una lunghissima istruttoria, protrattasi per circa un anno e mezzo, che vede coinvolti tra accusatori ed accusati più di 400 persone. Tra i carbonari caduti nella rete borbonica, spregiativamente appellati nelle carte processuali "demagoghi", "riscaldati", "prevenuti", figurano pure i due cognati di Giuseppe Adamoli: Isidoro Strina di Domenico, di anni 34, Proprietario, Decurione (
5) e Perito Agrimensore residente a Tempera, anche se per l'esercizio della professione egli risiede abitualmente a L'Aquila, dove svolge consulenze anche per il Tribunale Civile; Ascanio Vicentini fu Bonaventura di Tempera, di anni 41, Proprietario. Ascanio è cognato di Isidoro Strina, poiché ha sposato una delle sorelle di questi, Febronia, che le dà ben nove figli.

Numerose sono le accuse che vengono formulate ai 25 arrestati - quasi tutti di Paganica - nella fase istruttoria: si va dalle minacce verbali al lancio di pietre verso persone ed abitazioni, dalla associazione segreta rivoluzionaria, alla promozione del malcontento verso i regnanti borbonici, oltre a specifici episodi quali il dileggio e la rottura di un mezzo busto di gesso raffigurante il Re situato presso la Cancelleria del Giudicato Regio di Paganica, ed il disarmamento arbitrario di tre militari nella ex Reale Gendermeria.
In un rapporto "Riservatissimo" del 18 luglio 1849 si legge che Strina e Vicentini (i quali verranno tratti in arresto nel successivo mese di dicembre) "non pure sono avversi al Governo ed all'ordine, ma benanche non han ritegno di spingersi financo a vie di fatto contro pacifici cittadini". I due, i cui nomi nelle carte processuali figurano spessissimo a braccetto, facevano entrambi parte del "Comitato della Morte" costituitosi a Paganica all'epoca della rivoluzione del 1848, comitato che si riuniva solitamente nel Caffè di Giacinto Pietrangeli (come pure nella spezieria di Giandomenico Tascione, in casa di D. Andrea Rosei, nel locale del Giudicato Regio, nel forno di Camillo Visca); non solo, ma Vicentini ne è addirittura il Presidente. Vicentini e Strina erano coloro che tenevano una corrispondenza con lo Stato Pontificio, ed entrambi, nelle riunioni settarie, usavano leggere lettere e fogli stampati di natura rivoluzionaria che ricevevano.

Per chiarire il clima di tensione e di provocazione che esisteva in quei tempi a Paganica tra realisti e rivoluzionari, si può attingere all'esposto di accusa presentato nell'ottobre 1849 da Giovanni Vivio, nel quale egli richiede espressamente l'arresto di Ascanio Vicentini, che avviene effettivamente il 12 dicembre successivo, quando questi viene prelevato nel locale del Giudicato Regio di Paganica e condotto nel Carcere Centrale di Aquila, seguito sei giorni dopo dal cognato Isidoro che viene prelevato nella pubblica Piazza di Aquila, presso la bottega di D. Francesco Palumbo.
Giovanni Vivio qualifica Vicentini - persona dalla lunghissima barba alla maniera che si usava in quei tempi, e di cui si ornavano pure una buona parte dei componenti della setta rivoluzionaria - come "un riscaldatissimo demagogo, giurato nemico del Re, e dell'attuale governo, perchè capo settario di quel luogo, ove ha sedotta una buona parte di quei naturali. Presidente del Comitato Circondariale all'epoca, in cui era per scoppiare la rivoluzione nello scorso anno, processato e convinto di enormi reità di Stato". Giovanni Vivio sostiene che il Vicentini "ha congiurato, e deciso insieme a suoi aderenti di massacrarlo, di tal ché, tanto è vero, mentre quei demagoghi quando lo veggono aggirarsi colà, si ammutinano, parlare tra loro, torvi lo guardano, minacciandolo al più non posso. Mentre, in compagnia di una sua germana, transitava lungo il Corso superiore di codesta città, a circa le ore 19 s'imbatte col nominato Vicentini, il quale alla di lui vista, soffermatosi, e biecamente guardandolo eruttò le seguenti minacciose parole: 'Datti tempo due altri giorni spia fottuta che sarai fatto a pezzi, insieme agli altri spioni realisti'. Alcuni giorni prima dell'arresto di Vicentini, Giovanni Vivio espone in una supplica al Maresciallo che "ovunque eravamo incontrati dal Vicentini, e dai rivoluzionari suoi pari, eravamo minacciati di vita, sputati in viso" e che "si era progettato dal Vicentini e dai suoi compagni di massacrare l'intera mia famiglia, e che volevano troncare la testa a mio padre, e farla rotolare per la casa. Né passata la rivoluzione il Vicentini ha cessato di minacciare me, e la mia famiglia".

In occasione del primo interrogatorio subito in carcere, Ascanio Vicentini, nel tentativo di discolpa, ritiene di ravvisare il rancore che Giovanni Vivio nutre nei suoi confronti, dall'unico incontro che ha avuto con questi, nel corso del quale si verifica un curioso episodio che Ascanio stesso racconta: "Fra la fine di Ottobre ultimo, e principi di Novembre, il che precisamente non ricordo, trovandomi nel botteghino dei generi di privativa sito in Tempera, osservai che il suddetto Giovanni Vivio fattosi accomodare l'ombrella da un'ombrellaro, il quale a caso si era fermato a poca distanza dalla porta d'ingresso dell'enunciato botteghino, se ne andava via nell'atto stesso che l'ombrellaro faceva premura per essere pagato. Commosso io dalle giuste rimostranze di quest'ultimo, dissi al Vivio di dovere pagare, ed il medesimo allora replicò che non aveva monete di rame, tenendo semplicemente una moneta di Carlini 12.
Risposi allora che cambiasse, ed il Vivio si avviò, mostrando di voler ciò eseguire, penetrando nel botteghino, dal quale mi trovavo già uscito, per modo che l'alterco ebbe luogo sulla strada.
Ritornò dicendo di non aver potuto cambiare il 12 Carlini, e con sfrontatezza senza pagare l'ombrellaro, si allontanò borbottando, e facendo segni di minacce contro di me: minacce che furono del pari eseguite da Daniele Masciovecchio, il quale stava insieme con Giovanni Vivio". Vicentini smentisce anche l'inimicizia nei confronti della famiglia del Vivio, sottolineando anzi che con il padre di Giovanni, Bartolomeo, "giuocai amichevolmente del rosolio, o altro picciol oggetto" nel botteghino dei generi di privativa di Tempera.

Dal canto suo Isidoro Strina, ritenuto peraltro uno dei migliori agrimensori di L'Aquila, viene ritenuto protagonista di un episodio di intimidazione nei confronti dell'Economo della Parrocchia di Tempera D. Andrea Biordi, il quale nel dicembre 1848, autorizzato dal vescovo, usava leggere ogni sera nella chiesa di Tempera una preghiera che aveva ricevuta manoscritta, che recitava così:

"Mira ancora la chiesa tua sposa
Il Capo che la sostiene è grandemente angustiato
Lupi rapaci hanno invaso le gregge
E le desolate agnelle vanno errando per gli attosciati pascoli
Ed i Ministri per giunta tema della loro vita hanno cambiate le vesti"


Giunta l'allusiva preghiera alle orecchie dei carbonari, fu inviata nella Chiesa una ragazza perché la imparasse a memoria. Isidoro si presenta dopo alcuni giorni al Biordi e lo invita amichevolmente a sospendere la recita di detta preghiera, ravvisandovi nei 'Lupi rapaci' i sostenitori delle idee rivoluzionarie, verso i quali avrebbero potuto prodursi, per effetto delle orazioni quotidiane, reazioni sconsiderate. Il Biordi si rifiuta categoricamente, affermando di ricevere ordini solo dal proprio vescovo, sottolineando comunque che l'orazione veniva eseguita per il Pontefice esule (
6), e che il riferimento non era indirizzato verso le "idee del tempo", bensì semplicemente verso i nemici della religione.

Isidoro Strina viene chiamato in causa anche da Giandomenico Centi, ex Sostituto Cancelliere del Comune di Paganica, nel quale Strina fungeva da Decurione Segretario. Isidoro viene definito dal Centi "riscaldatissimo dei così detti ultra liberali" e lo accusa di aver cercato di indurlo, in occasione della elezione dei deputati, a inserire nella liste contenenti i nomi che dovevano essere prescelti dagli elettori, uomini della sua fede politica. Il Centi espone che "una tale prattica ripugnava al sentimento di mia coscienza, e mi dispiaceva essere l'organo dell'intrigo che avrebbe portato alla Camera soggetti immeritevoli, quindi mi denegai a scrivere l'enunciate liste, e lo Strina tanto fece, tanto disse per vendicarsi del mio rifiuto, fino a che mi fece togliere l'uffizio da me esercitato per lo spazio di circa tredici anni. Si prestò al conseguimento della volontà dello Strina il Cancelliere funzionante D. Antonio Mastracci, individuo questo dello stesso calibro politico, come il D. Isidoro". Tuttavia di questo episodio, esposto dal Centi nella fase di istruttoria, non c'è traccia nel processo.

Un episodio nel quale viene invece coinvolto personalmente Ascanio Vicentini insieme a Giovanni Antonelli, Sostituto Cancelliere del Giudicato Regio di Paganica (egli sarà, tra i carbonari processati, quello colpito dalla condanna più dura, con nove anni di relegazione), è quello nel quale i due vengono accusati di aver rivolto il loro odio di parte verso un mezzo busto in gesso raffigurante il Re, collocato in uno stipo della Cancelleria del Giudicato Regio di Paganica. Secondo alcune testimonianze i due usavano dileggiare il Re imbrattandosi le dita d'inchiostro e tingendo il volto del suddetto busto, verso il quale indirizzavano sputi e proferivano l'insulto di "Fottuto Croato". Infine i due avrebbero volontariamente prodotto la rottura del mezzo busto facendolo precipitare a terra. In ordine a questo episodio la testimonianza resa in istruttoria contro i due da Carmine Di Genova, fu ritrattata nel dibattimento processuale, essendo stata l'accusa estorta in seguito alle minacce ricevute dal Di Genova. Di conseguenza, nonostante due perizie svolte sul mezzo busto di gesso, non si procedette nei confronti di Antonelli e Vicentini. I ripetuti incontri tra i due in Cancelleria sono legati al fatto che Ascanio Vicentini è stato nominato nel 1847 Eletto Aggiunto allo Stato Civile del Comune di Paganica, quindi si reca spesso nel Giudicato Regio per la difesa di liti. Vicentini risulta peraltro ben integrato nella comunità paganichese, ed è pure nominato nel 1842 venditore dei generi di privativa.

Ben altro peso sulla sorte processuale di Vicentini e Strina ebbe un episodio verificatosi nell'aprile 1848 nella caserma della Gendarmeria Reale di Paganica. I due cognati, insieme ad altri cinque carbonari disarmarono tre gendarmi - che col caporale compongono la Brigata della disciolta Gendarmeria Reale - e si impossessano di tre carabine, tre baionette e 68 cartucce (nel marzo 1848 la Gendarmeria Reale era stata disciolta per ricomporsi in un nuovo corpo denominato Guardia Nazionale). Una moltitudine di persone, richiamata dal fatto notevole che si stava svolgendo, circondarono la caserma. Gli accusati sostennero a propria discolpa che le armi furono consegnate volontariamente, e addirittura in tale occasione fu redatta una ricevuta in duplice copia, nella quale si affermava che la consegna volontaria avveniva con lo scopo di rifornire la dotazione della Guardia Nazionale, analogamente a quanto era già avvenuto a L'Aquila. Tale ricevuta fu però sottoscritta solo dalle Guardie Nazionali che operarono il disarmamento, ma non dal Sergente della Caserma. Gli stessi disarmatori al termine del'operazione condussero i gendarmi nel forno di Visca, dove li complimentarono per la consegna delle armi.

Il 30 aprile 1851, dopo 45 giorni di processo, i cognati Isidoro Strina e Ascanio Vicentini all'unanimità vengono condannati dalla Gran Corte Speciale de L'Aquila, a sette anni di relegazione e alla malleveria di 300 ducati ciascuno, colpevoli di aver "commesso attacco contro la forza pubblica con vie di fatto", colpevoli di "discorsi e fatti pubblici tendenti a spargere il malcontento contro il Governo". E' rimarchevole sottolineare come la Gran Corte Speciale non ritenne l'accusa di associazione settaria sufficientemente provata, perché gli accusatori si limitarono a "deporre fatti vaghi, pubbliche voci, giudizi e congetture che traeano dal contegno e dal procedere de' denunzianti; parlavano in somma di associazione illecita avente in mira politici rivolgimenti, ma non precisavano né il nome della setta, né la sua organizzazione sotto capi determinati, né le congreghe notturne de' componenti di essa, ne tante altre minute particolarità".

La famiglia di Isidoro Strina, sposato ad Angelamaria Bizzoni, e padre di sei figli, viene duramente colpita dalla condanna subita dal capofamiglia, il quale viene trasferito per la relegazione nell'isolotto di Santo Stefano, situato di fronte all'isola di Ventotene. Anche l'attività degli Strina nella cartiera e nella fonderia di rame, risultò gravemente compromessa, perché divenne impossibile continuare qualsiasi lavoro, dato che gli stessi militari borbonici, che avevano occupato militarmente Tempera, si stabilirono nella casa degli Strina, i quali si dovettero ritirare a L'Aquila. Dopo la prematura morte del padre di Isidoro, Domenico Strina, grazie alla intercessione della regina alla quale si era rivolta la moglie di Isidoro, Angelamaria, questi fa ritorno a casa dopo aver scontato tre anni di pena, anche se il rientro avviene nella rigorosa sorveglianza di polizia e con l'interdizione dell'esercizio professionale, che sarebbe durata sino al conseguimento dell'unità nazionale.

Nelle memorie di famiglia Umberto Adamoli, la cui nonna paterna Doralice è sorella di Isidoro Strina, descrive sommariamente ma esattamente le vicende nelle quali sono coinvolti i parenti, eventi ai quali manca tuttavia l'esatta collocazione temporale. Egli inoltre comprende il nonno Giuseppe, del quale i parenti lombardi del tempo ricordavano l'acceso patriottismo, nel "Comitato della morte", parlando della triade dei cognati componenti il comitato insurrezionale di Paganica. Di lui tuttavia non c'è alcuna traccia nelle carte processuali. E' ragionevole ritenere che non tutti i carbonari siano rimasti coinvolti nel processo, soprattutto quelli che hanno saputo usare una maggiore prudenza, forse come Giuseppe Adamoli, che nel 1846 ha abbandonato Tempera, magari proprio per sottrarsi alla crescente pressione della polizia borbonica, ma ben prima della costituzione del "Comitato della Morte" e dei "Fatti di Paganica" del 1848.

[Prima Parte]


NOTE

(3) Il Comune di Paganica oggi non esiste più, in quanto accorpato al territorio di L'Aquila. L'aggregazione fu decisa nel 1927. ß
(4) Si veda sul sito www.paganica.it il "discorso intorno alla carta" di D. Ignazio Niccolò Vicentini, fatto alla Società Economica di Aquila, di cui era membro, nel 1833. ß
(5) Nel Regno di Napoli il Decurione era un componente dell'amministrazione comunale. ß
(6) Dopo l'uccisione del ministro Pellegrino Rossi ed i tumulti scoppiati a Roma, il papa Pio IX si era rifugiato a Gaeta. Rientrerà a Roma l'anno dopo. ß


Torna alla videata principale