Benito Mussolini
Storia di un anno. Il tempo del bastone e della carota


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     Alle 14 il Duce, accompagnato dal generale Galbiati, si recò a visitare il quartiere Tiburtino, che era stato particolarmente devastato dall'incursione terroristica del 19 luglio. Il Duce venne circondato dalla folla dei sinistrati e acclamato. Alle 15 rientrò a Villa Torlonia.
     Alle 16,50 giunse a Villa Torlonia il segretario particolare e Mussolini si recò con lui a Villa Ada. Il Duce era assolutamente tranquillo. Egli portò con sé un libro contenente la legge del Gran Consiglio, la lettera del Cianetti e altre carte, dalle quali risultava che l'ordine del giorno del Gran Consiglio non impegnava nessuno, data la funzione consultiva dell'organo stesso. Mussolini pensava che il re gli avrebbe ritirato la delega del 10 giugno 1940, riguardante il comando delle Forze armate, delega che il Duce aveva già da tempo in animo di restituire. Mussolini entrò quindi a Villa Ada con l'animo assolutamente sgombro da ogni prevenzione, in uno stato che visto a distanza potrebbe chiamarsi di vera e propria ingenuità.
     Alle 17 in punto l'auto entrò dai cancelli spalancati della Salaria. C'era in giro e nell'interno un rinforzo di carabinieri, ma la cosa non parve eccezionale. Il re, vestito da Maresciallo, era sulla porta della villa. Nell'interno del vestibolo stazionavano due ufficiali. Entrati nel salotto, il re, in uno stato di anormale agitazione, coi tratti del viso sconvolti, con parole mozze, disse quanto segue: «Caro Duce, le cose non vanno più. L'Italia è in "tocchi". L'Esercito è moralmente a terra. I soldati non vogliono più battersi. Gli alpini cantano una canzone nella quale dicono che non vogliono più fare la guerra per conto di Mussolini (il re ripeté in dialetto piemontese i versi della canzone).