(segue) Discorso del XIII gennaio per lo Stato corporativo
(12 gennaio 1934)
[Inizio scritto]

      Questa Legge non è solo il risultato della dottrina: non bisogna troppo disprezzare la dottrina, perché la dottrina illumina l'esperienza, e l'esperienza collauda la dottrina. Non solo la dottrina, ma dodici anni di esperienza, viva, vissuta, pratica, quotidiana, durante i quali tutti i problemi della vita nazionale dal punto di vista dell'economia, problemi sempre prismatici e complessi, mi sono stati prospettati; ho dovuto affrontarli, spesso risolverli.
      Quali sono le premesse di questa Legge? Le premesse fondamentali sono le seguenti:
      - non esiste il fatto economico di interesse esclusivamente privato e individuale;
      - dal giorno in cui l'uomo si rassegnò o si adattò a vivere nella comunità dei suoi simili, da quel giorno nessun atto che egli compia, comincia, si sviluppa o si conclude in lui, ma ha delle ripercussioni che vanno oltre la sua persona.
      Bisogna anche situare nella storia il fenomeno che si chiama capitalismo, quella forma determinante nell'economia che si chiama l'economia capitalistica.
      L'economia capitalistica è un fatto del secolo scorso e dell'attuale.
      L'antichità non l'ha conosciuto. Il libro del Salvioli è esauriente, definitivo in materia. Nemmeno nel Medio Evo! Siamo sempre in una fase di artigianato più o meno vasta. Chi dice capitalismo dice macchina, chi dice macchina dice fabbrica.
      Il capitalismo è quindi legato al sorgere della macchina; si sviluppa soprattutto quando è possibile trasportare l'energia a distanza e quando, in condizioni tutt'affatto diverse da quelle nelle quali viviamo, è possibile una divisione del lavoro razionale ed universale.
      È questa stessa divisione del lavoro che nella seconda metà del secolo scorso faceva dire ad un economista inglese, Stanley Jevens, che «le pianure dell'America del Nord e della Russia sono i nostri campi di grano; Chicago ed Odessa i nostri granai; il Canadà ed i Paesi baltici sono le nostre foreste; l'Australia alleva per noi i suoi armenti; l'America i suoi buoi; il Perù ci manda il suo argento; la California e l'Australia il loro oro; i cinesi coltivano il tè per noi e gli indiani il caffè; zucchero e spezie arrivano ai nostri porti; la Francia e la Spagna sono i nostri vini; il Mediterraneo il nostro orto.»

(segue...)