(segue) La politica economica del Regime
(18 dicembre 1930)
[Inizio scritto]

      Ma, intanto, questi mesi dell'estate scorsa sono stati assai laboriosi anche per me e per il Governo. Abbiamo, prima di tutto, continuato e quasi ultimato, il risanamento bancario. Nel 1919 un prete siciliano si pose in capo di conquistare l'Italia. Ci fu, difatti, un periodo in cui faceva e disfaceva i Ministeri, poneva il veto come un antico tribuno della plebe, e marciava in tre direzioni; un partito politico, che fiancheggiava i socialisti, abbastanza numeroso e valido perché aveva portato alla Camera 103 deputati (del resto non è nuovo, nella storia contemporanea, il fatto che i cattolici e i socialisti marcino insieme contro quelli che essi chiamano le tendenze radicali dello spirito contemporaneo). Poi aveva creato un sindacalismo che in fatto di bolscevismo (e se qui ci sono dei senatori della marca trevigiana me ne possono far fede) dava dei punti al sindacalismo rosso; finalmente aveva creato, e, diciamolo pure, potenziato, una infinita serie di istituti di credito che andava dalle piccole banche rurali ai grandi istituti nazionali. Di questa vasta, ambiziosa impresa, non restano che delle rovine, che io vado raccogliendo. Gli istituti confessionali in Italia hanno vaporizzato un miliardo della povera gente! Io non vorrei parlare sei ore, invece delle cinque che mi riprometto di parlare. Ma vi potrei leggere l'elenco che occupa, come vedete, queste abbastanza vaste pagine, di tutti gl'istituti che sono saltati. Molti, invece, ne abbiamo salvati; con le operazioni solite, con degli innesti, con delle fusioni, con degli aiuti diretti o indiretti, e con quell'ospedale bancario che si chiama l'Istituto di liquidazione che noi pensavamo di chiudere al 31 dicembre 1930, e che dovrà rimanere aperto per un certo numero di anni.
      Ora questo processo di risanamento è verso il suo termine. È stato faticoso e penoso, ma io vorrei da questa tribuna raccomandare a coloro che hanno cura delle anime di disinteressarsi del profano, di lasciare la banca ai banchieri, perché i banchieri non s'improvvisano. Non vi stupirete nemmeno di intendere che, molte volte, la chiusura degli sportelli ha coinciso con l'apertura delle porte delle carceri, dove in questo momento un discreto numero di commendatori sta riflettendo sui complessi e mutevoli casi della vita.

(segue...)