La politica economica del regime
(18 dicembre 1930)


      Al Senato, nella tornata del 18 dicembre, S. E. il Capo del Governo pronunziò il seguente discorso:

      Onorevoli Senatori!
      Voi comprendete che io non parlo per appoggiare presso di voi l'approvazione del disegno di legge, che è sui vostri banchi. La relazione, semplice, chiara ed esauriente del vostro collega senatore Berio raccomanda questo disegno di legge ai vostri suffragi.
      Ma io colgo questa occasione per fare un esame della situazione, di quella italiana e di quella mondiale, per spiegarvi i moventi della politica economica del Governo e gli obbiettivi che la politica medesima si prefigge di raggiungere. Farò un discorso molto chiaro, molto schietto, senza reticenze, senza veli.
      Voi ci siete, del resto, abituati e sapete che mi si potrà rimproverare per eccesso di sincerità non mai per difetto della medesima. Sarà, forse, un discorso di proporzioni inconsuete ed arido, perché documentato con cifre e dati di fatto, ma voi sapete che, di quando in quando, bisogna fare di questi discorsi per aggiornare la situazione.
      Alla fine dell'estate del 1929, lai situazione economica italiana poteva ritenersi soddisfacente. Tutti gli indici dell'economia agricola ed industriale segnavano delle punte notevoli; era aumentato il consumo della energia elettrica, era aumentata la produzione della ghisa e dell'acciaio; i raccolti agricoli dell'annata erano stati abbondanti. Ci avviavamo al porto; eravamo, forse, in vista del porto, quando, in data 24 ottobre 1929, scoppia la crisi americana e scoppia improvvisamente, come una bomba. Per noi, poveri provinciali di questa vecchia Europa, lo scoppio fu di grande sorpresa; restammo percossi ed attoniti come la terra all'annunzio della morte di Napoleone; perché ci avevano dato ad intendere che quello era il paese della prosperità, della prosperità indefinita, assoluta, senza eclissi, senza decadenza; tutti eran ricchi. Ognuno sa a memoria delle cose che ormai sono dei luoghi comuni; c'era un automobile per ogni otto abitanti, una radio per ogni quattro, un telefono per ogni tre. Tutti giocavano in borsa e, siccome i titoli azionari salivano sempre, ognuno, avendo comprato un titolo a 20 lo rivendeva a 100, e così lucrava lo scarto, e con questo scarto si comprava l'automobile, la radio, il telefono, faceva un viaggio in Europa pagandolo a rate e forse anche si fabbricava una villetta nei dintorni. Tutto ciò era meraviglioso, fantastico, anche noi al di qua dell'acqua avevamo un senso di euforia. Ad un certo punto questo scenario crolla; abbiamo una serie di giornate nere, nerissime; i titoli perdono il venti, trenta, cinquanta per cento del loro valore.

(segue...)