Umberto Adamoli
LA VOCE DELLE CARCERI
(Atto unico)


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     Tale il primo atto della terribile tragedia, che ha sempre avvelenata la mia esistenza. Passano i giorni, passano i mesi, passano gli anni, ma non passa lo spettro insanguinato, che mi vive a fianco.

     CARLO - Non si direbbe, guardandovi in viso.

     GIOVANNI - Calma fittizia, calma apparente come per tutti gli ergastolani. Poco poco che si frughi nel loro animo si sente tutta la tempesta furiosa, che spesso li conduce al manicomio.
     Quante tragedie di anime uscirebbero dai penitenziari se gli ergastolani ne avessero la capacità o la volontà di scrivere: tragedie che commuoverebbero il mondo.
     In nessun posto, certo, si sente vibrare la vita, specialmente in giovinezza, come la si sente vibrare qui. Talvolta, nell'assopimento, par di sentire la carezza morbida della buona mamma. Talvolta, nella gioia del vivere, par di vedere il sorriso tenerissimo della donna amata, nella santità della famiglia. Ma è come un lampo, che sfolgora nella notte, nell'oscurità della tempesta, ed angoscioso ne è il risveglio.

     Non è così per voi, che siete qui, come dire, di passaggio.

     FRANCESCO - Nonostante, nonno, abbiamo intuito le tragedie che si possono svolgere nei penitenziari delle pene perpetue, da voi con vivezza rappresentate. E' una lezione che ci sarà di molto giovamento, nel ritorno alla vita dei viventi.

     GIOVANNI - Vita dei viventi! Proprio così, ché morta è la nostra vita.

     CARLO - questa confessione aumenta la nostra simpatia, il nostro affetto per voi, nonno. Ci potresti raccontare un qualche altro episodio, inerente a questa vita di sofferenza?


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Umberto