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a cura di Federico Adamoli


Il podestà che salvò gli ebrei


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     (Daniel Vogelmann) Buonasera a tutti. Come ho fatto stamani ringrazio per questo invito molto gradito. Tra l’altro non conoscevo questa bella città, tranquilla, mi sembra anche serena, cosa abbastanza rara di questi tempi. Come diceva la professoressa, la preside, io sono figlio di Schulim Vogelmann. Quando il professor Ricci ha fatto il suo intervento, ho pensato che mio padre non ha avuto la stessa fortuna degli ebrei rifugiatisi a Teramo e in tante altre parti d’Italia, spesso in piccole città o in campagna. Anche lui si era procurato dei documenti falsi. Un’altra possibilità di fuga, come sapete, era quella di tentare di entrare in Svizzera. Nell’ottobre-novembre del 1943 era ormai fondamentalmente chiaro, dopo la grande razzia nel ghetto di Roma, che il destino degli ebrei era segnato, anche se qualcuno si illudeva ancora che si poteva andare nei cosiddetti campi di lavoro. Però, come dicevo anche stamani, qualche dubbio veniva se si pensava che i deportati erano uomini, donne e bambini anche di pochi giorni o vecchi di novanta-cento anni… E quindi effettivamente gli ebrei cercarono rifugio.
     Mio padre ebbe da una rete di resistenza fiorentina i documenti falsi, e prese il treno per andare a Sondrio, e da lì doveva varcare il confine, aiutato ovviamente da un prezzolato passatore. Non abbiamo mai saputo esattamente cosa successe, perché io per primo non ho mai osato chiederlo a mio padre. Probabilmente qualcuno ha ascoltato un discorso che non doveva essere fatto; c’era una bambina di otto anni, quindi può darsi che lei per prima si sia tradita con una domanda innocente che ascoltata dalla persona non giusta, in tutti i sensi, li ha portati ad essere arrestati e poi rimandati a Firenze, dove c’era uno dei tanti campi d’internamento italiani. Dopo giunsero a San Vittore, perché ancora non era in funzione il campo di Fossoli di cui avrete sentito sicuramente parlare.