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a cura di Federico Adamoli


Il podestà che salvò gli ebrei


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      Le famiglie trasferitesi a Teramo erano legate da lontane parentele: Umberto Fano con il figlio Leone, la nuora Elvira, il nipote Umberto; Rosetta Fano prima cugina di Umberto con la madre Emilia, la sorella Alba, il marito di Alba signor Gross, e il figlio Lio Gross; Mario Fano, figlio di Umberto e fratello di Leone, all'epoca ventenne; Edoardo Levi, figlio di primo letto di Emilia Levi-Fano, con la moglie Beatrice, il figlio Giorgio e la nuora Fulvia. C'erano altri ebrei ebrei triestini a Teramo, arrivati dopo, tra i quali il professor Suari con la moglie, mamma e due figlie. Dopo la liberazione da parte delle truppe alleate Oscar Cannarutto incontrò a Teramo il signor Mario Morpurgo, ebreo triestino di famiglia molto benestante, socio della Stock, il quale dichiarò di essere stato ospitato dal podestà Adamoli nel 1943-1944. Licia Cannarutto e la sorella Rosi ricordano che un conoscente di papà Oscar, un ufficiale dell'esercito italiano, aveva segnalato Teramo come una città tranquilla: ecco perché loro vengono a Teramo, città senza obiettivi militari e vicina al fronte alleato, con la speranza di avere una prossima liberazione da parte delle armate alleate. I Cannarutto avevano documenti falsi, dei quali non ricordano la provenienza. Le sorelle Cannarutto ricordano il viaggio: la stazione dei treni di Bologna era stata bombardata, la famiglia Cannarutto scese alla stazione precedente Bologna. Per ripartire bisognava arrivare alla stazione di Mirandola; per arrivare alla stazione di Mirandola bisognava prendere un taxi; per avere il taxi bisognava andare al comando tedesco, chiedere il permesso per il taxi. Margherita Cannarutto parlava tedesco fluentemente e si rivolse al comando; ottenne il permesso di viaggiare sul taxi insieme ad un soldato tedesco che le indicava il tragitto. Il taxi era un auto grande con seggiolini ribaltabili; erano in otto: Oscar, Margherita, Licia, Rosi della famiglia Cannarutto; Umberto Fano con il figlio Leone, la nuora Elvira, il nipote Umberto, più l'autista e il soldato tedesco. Alla stazione di Mirandola il gruppo di triestini vide un treno merci proveniente dal sud d'Italia e diretto al Nord, pieno di deportati stipati, che lanciavano bigliettini dalle fessure. Arrivati a Teramo tutto il gruppo di triestini andò a soggiornare alla locanda Il Cantinone, ma sicuramente prima passarono per il campo di concentramento Mezzacapo - e questo le sorelle non lo ricordano - che stava in piazza Madonna delle Grazie. In gruppo di otto dormivano in due stanze, ed uno dormiva in corridoio. Rimasero al Cantinone due mesi, ottobre e novembre. Il 1. dicembre 1943 Mussolini fece un discorso in cui disponeva l'internamento degli ebrei e la espropriazione dei loro beni. Alla locanda - cioè l'attuale ristorante Cantinone - si presentarono due persone in borghese, con una lettera non firmata di possibile provenienza del podestà. Questa lettera consigliava di andare in vacanza altrove, virgolettato. A Villa Ripa soggiornava già la famiglia Levi: Edoardo con la moglie Beatrice ed il figlio Giorgio, la nuora Fulvia, e la famiglia Fano: Rosetta sua madre Emilia, la sorella Alba, il dottor Gross, il figlio Lio. La famiglia Cannarutto con i quattro Fano: Umberto, Leone, Elvira e Umberto, vanno a piedi a Villa Ripa dove incontrano Caterina Di Bartolomeo, moglie di Ercole. Le chiedono ospitalità a pagamento e lei li accoglie. Non sapevano di ospitare ebrei. Gli altri abitanti del paese non hanno mai chiesto, e hanno accolto a braccia aperte il gruppo di triestini. Non c'era naturalmente oro nascosto in casa, come magari si pensava in un primo momento, dicono le due sorelle. La permanenza a Villa Ripa fu di 7 mesi, e naturalmente in sette mesi diventarono tutti amici nel piccolo paese, una piccola comunità; in particolare con la famiglia Di Bartolomeo, la famiglia Carbuglia, la famiglia Ruggeri, la famiglia Fabbiocchi, tutte di Villa Ripa. Gli ebrei frequentavano la chiesa, anche per non suscitare sospetti. Il parroco era filo-tedesco e quando sbarcarono gli alleati ad Anzio, durante un sermone disse: “Li butteremo in mare”. Gli abitanti del paese si sono sempre comportati con i triestini in modo fraterno ed amichevole, ricordano le sorelle.